Ieri è decollato da Abu Dhabi il primo prototipo di aereo alimentato esclusivamente con l’energia del sole. Al comando del Solar Impulse 2 – le cui ali superano in lunghezza quelle del jumbo jet della Boeing – è lo svizzero Bertrand Piccard, assistito dal collega André Borschberg. Il velivolo farà il giro del mondo passando sopra l’India, la Cina, l’Oceano Pacifico, l’America, l’Oceano Atlantico e l’Europa. Se tutto andrà bene, le ore di volo previste saranno in tutto 500, distribuite nell’arco di cinque mesi.
Qualora Piccard riuscisse nella sua impresa (com’è d’altra parte in tutti i pronostici), ci troveremo dinanzi a una svolta epocale perché le grandi aziende costruttrici di aeroplani – che hanno rifiutato di finanziare il Solar Impulse 2 – saranno costrette a fare marcia indietro. Maggiori risorse saranno investite nella ricerca per la fabbricazione di aerei di linea ad energia solare. I benefici saranno considerevoli, soprattutto nella riduzione dell’inquinamento atmosferico.
Il Solar Impulse 2 ha una forma curiosa: la notevole apertura alare e le ruote appese a un lungo carrello sotto la piccola cabina di equipaggio lo rendono simile a un enorme insetto. La superficie dell’aereo è coperta da celle solari ultra leggere prodotte dall’azienda belga Solvay, i cui laboratori di ricerca hanno sede a Bollate, un Comune alle porte di Milano. Queste celle forniscono energia alle batterie al litio con cui sono alimentati i quattro motori elettrici presenti nel prototipo. Il velivolo sta viaggiando a una velocità di 50 Km/h.
Ieri, quando ho visto il video che mostrava il decollo del Solar Impulse 2, il pensiero è corso a Leonardo da Vinci. Nella sua feconda vita di pittore, ingegnere e studioso, Leonardo si sforzò d’inventare un paio di ali meccaniche che consentissero all’uomo di volare. Un sogno che non riuscì a tradursi in realtà per molti secoli, finché l’invenzione dei motori ad elica cambiò la storia. Leonardo fu il primo a capire che uno dei segreti del volo risiedeva nello sfruttamento delle correnti d’aria. Nell’osservare gli uccelli rapaci scrisse in una bella nota risalente ai primi anni del Cinquecento:
Quando l’uciello ha gran larghezza d’alie e pocha choda, e che esso si voglia inalzare, allora esso alzerà forte le alie, e girando riceverà il vento sotto l’alie, il qual vento facendosegli intorno lo spingerà molto con prestezza, come il cortone uccello di rapina chio vidi andando a Fiesole sopra il locho di Barbiga nel [150]5 addì 14 di Marzo.
In fondo, l’impresa di Piccard si pone nel solco di tante avventure compiute in passato da uomini ardimentosi, i quali tentarono la sorte con gli ultimi ritrovati della scienza.
E’ il caso ad esempio del conte Paolo Andreani (1763-1823), appartenente a una ricca famiglia del patriziato milanese, il cui palazzo a Milano ha dato il nome alla Biblioteca Comunale, la Sormani appunto. Andreani volle ripetere l’impresa dei fratelli Montgolfier: finanziò la costruzione di una grande mongolfiera affidandone la costruzione ai fratelli Agostino, Giuseppe e Carlo Gerli. Si trattava di un globo aerostatico che misurava 72 piedi in altezza e 66 in larghezza. Il conte prese il volo il 13 marzo 1784 prendendo quota dal giardino della sua villa di campagna sita a Moncucco (un paese in provincia di Milano). Il pallone scomparve subito tra le nubi. Dopo mezz’ora il conte venne trovato a tre miglia dal paese facendo tirare un sospiro di sollievo alla popolazione e alle autorità. Non fu un viaggio lungo ma bastò a rendere celebre l’Andreani, che fu invitato a Parigi per incontrare i maggiori studiosi di aeronautica. Ad Andreani si deve peraltro l’invenzione dell’eudiometro, uno strumento in grado di calcolare la quantità di ossigeno presente nell’atmosfera.
Meno fortunata l’impresa del bolognese Francesco Zambeccari (1762-1812). Tra il 1803 e il 1812 questi effettuò alcune ascensioni con una mongolfiera di sua invenzione. Trovò la morte nel corso di una di queste imprese.
Il canonico Luigi Mantovani, in alcune note del suo diario, ci ha lasciato la curiosa testimonianza di un volo risalente all’ottobre del 1803. Zambeccari si era innalzato con il suo pallone in un luogo imprecisato tra le Romagne e le Marche. Poche ore dopo i membri della spedizione, perso il controllo della mongolfiera per un forte temporale, furono trasportati dalle correnti fin sopra le acque dell’Istria, dove si buttarono in mare colti dal freddo e dalla disperazione. La mongolfiera, priva di equipaggio, continuò imperterrita il suo viaggio. Venne ritrovata in Bosnia alcuni mesi dopo, curiosamente venerata dalle popolazioni locali (cristiane e musulmane) come se fosse una reliquia divina.
Seguiamo nelle note del Mantovani le notizie frammentarie che erano giunte a Milano. E’ curioso che il canonico non esiti a bocciare la spedizione del conte bolognese, giudicato un pazzo esaltato in cerca di notorietà.
16 ottobre 1803
Con staffetta espressa venuta da Bologna si dice essersi saputo colà da Pesaro, e con varie lettere del Rubicone, che gli Areonauti (sic!) sei ore dopo la partenza sono andati a cadere nelle acque d’Istria, e che per accidente furono raccolti in una barca. Si aggiunge che erano stati un giorno e mezzo senza parlare, che erano gonfi, e che si dovette loro tagliar gli abiti indosso. Questa notizia non essendo stata portata dal corriere di Venezia non pare verosimile
19 ottobre 1803
Si sono avute ulteriori, e più distinte notizie del Pallone sventurato di Zambeccari. Fortunatamente i tre Aeronauti furon ajutati da una barca in dette acque,e co’ pronti rimedj voglionsi quasi ridotti a buon essere di salute: contano essi di varie cose da loro vedute nell’altissimo giro dell’aria, varie vicende etc. che forse saran frottole, o sogni imaginarj di quella fantasia abitualmente stravolta, senza la quale non sarebbe stata possibile la loro matta determinazione
21 ottobre 1803
Il Governo sempre sollecito per le utili cognizioni e per le intraprese vantaggiose al ben pubblico, si è fatto premura di render conto alla nostra Città dell’esito del conte Zambeccari che ha volato in Bologna. Dio volesse che si perdesse non solo la razza, ma anche la memoria di simili disperati, che senza aver in vista alcun bene, arrischiano quanto è più prezioso, cioé la vita, per una buffoneria. Il Conte Zambeccari è curato in Venezia dall’assistenza dei’ migliori medici per vedere di recuperarlo ne’ suoi sensi esteriori ch’egli ha perduto, sia pel freddo, sia per lo spavento, assai più degli altri suoi socj. Egli conta di aver sofferto una fiera tempesta con successiva neve, e dippiù esservi trovato in situazion parallela alla luna. Sì l’una che l’altra di queste supposizioni devesi attribuire a fantasia esaltata.
3 dicembre 1803
Giunge oggi la notizia della finale caduta del Pallone Zambeccari. Esso è caduto nella Bosnia, non molto lungi dal forte turco Viatrez alla sponda dell’Uria, 14 ore lontano da Gospich. Nel globo si trovarono alcune ruote e catene di ferro e tre capelli. Fu creduto prodigio da’ Turchi e da’ Cristiani, che a vicenda si disputarono il possesso, ed oggi pure il vulgo colà è fisso nell’opinione di cosa miracolosa a segno, che corrono gli malati a prender dell’acqua del ruscello, ove discese il globo, per guarire dai loro malanni
Non resta che augurare buona fortuna a Piccard. Speriamo che un giorno, grazie alla sua impresa, potremo salire su un aereo di linea alimentato con la sola energia solare.