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Dalle carte d’archivio aspetti poco conosciuti sulla vita di Leonardo

Allestita nel palazzo dell’antico Collegio Elvetico di via Senato una notevole esposizione di documenti sul genio toscano.

Cessata la paura per il Coronavirus che ha suscitato nella collettività reazioni di panico e paure ingiustificate, oggi si può dire che Milano abbia ripreso a respirare e con ogni probabilità nei prossimi giorni verranno riaperti musei e istituti culturali. Merita in proposito di essere visitata un’interessante mostra su Leonardo Da Vinci allestita nel palazzo ove ha sede l’Archivio di Stato di Milano in via Senato 10.

Inaugurata il 16 gennaio scorso e aperta fino al 28 marzo, l’esposizione non si segnala soltanto per il ricco materiale documentario. A suscitare curiosità è anche il percorso multimediale allestito nella mostra che, rivolto a un pubblico non specialistico, conduce quasi per mano il visitatore alla scoperta della vita di Leonardo e del mondo in cui visse. Due video ripercorrono le varie tappe della sua esistenza nell’Europa rinascimentale.

Leonardo Da Vinci, La Vergine delle Rocce. Parigi, Museo del Louvre.

Tra i documenti esposti nella mostra è opportuno ricordare il contratto che Leonardo, giunto da un anno a Milano, firmò nel 1483 con la confraternita dell’Immacolata Concezione per la realizzazione di un dipinto da collocare nella chiesa di San Francesco. Questa basilica oggi non esiste più: venne demolita negli anni del dominio napoleonico, quando il governo del Regno d’Italia costruì in quell’area una caserma destinata ai Veliti, uno dei corpi militari istituito da Napoleone re d’Italia. Si tratta dell’attuale Caserma Garibaldi, a pochi passi dall’Università Cattolica del Sacro Cuore. Però all’epoca di Leonardo la chiesa di San Francesco non solo esisteva, ma era una delle più importanti nel panorama cittadino. Essa era aperta al pubblico, gestita dai frati francescani che vivevano nel convento attiguo. Come ricorda Carlo Bianconi, estensore di una interessante guida artistica di Milano pubblicata nel 1795, la basilica fin dal Medioevo era addirittura uno dei templi più grandi della città quanto all’estensione della superficie. Nel contratto, che Leonardo aveva firmato con i membri della confraternita, l’artista era tenuto a realizzare un dipinto avente per oggetto la Vergine Maria e il Bambin Gesù. Le fasi del lavoro furono tuttavia tormentate. La scelta del soggetto su cui venne impostata la narrazione pittorica deluse i committenti: i religiosi pensavano probabilmente che la Madonna dovesse essere dipinta nel rispetto della tradizione e non si aspettavano che Leonardo – agendo per così dire “di testa propria” e ultimando il lavoro dopo molto tempo – realizzasse un’opera sui generis come la Vergine delle rocce , un capolavoro dell’arte pittorica. Nella mostra è esposto il contratto originale del 1483 che si è sopra ricordato: Leonardo lo firmò scrivendo il proprio nome in minuscolo, un errore che i grafologi hanno fatto risalire al disagio con cui visse la sua condizione di figlio illegittimo.

Donato di Montorfano, La Crocifissione, con interventi di Leonardo nel ritratto della famiglia Sforza. Parete Sud del Refettorio di Santa Maria delle Grazie, Milano.

Il resto dei documenti che sono esposti al pubblico copre un periodo storico esteso a tutta l’Età Moderna (secoli XVI-XIX). Riguardano in larga parte le fasi di realizzazione del celebre Cenacolo in Santa Maria delle Grazie. Una delle carte più importanti è il reclamo del duca Ludovico il Moro rivolto a Leonardo: questi era sollecitato a portare a termine il suo capolavoro nella parete nord del refettorio dei domenicani. Tale insistenza era dovuta all’urgenza di vedere ultimata la pittura anche nella parete sud, ove Donato di Montorfano andava dipingendo la celebre Crocifissione. Il duca di Milano voleva che Leonardo ritraesse, in questa parete, i membri della sua famiglia sempre con la tecnica, già adoperata per il Cenacolo, della pittura a secco. Oltre alla sua stessa persona, dovevano essere ritratte la moglie Beatrice D’Este e i figli: un reclamo che non sortì però i suoi effetti se pensiamo che noi oggi possiamo vedere queste figure solo abbozzate nella parete sud. Come si può facilmente immaginare, il documento del Moro riveste un’importanza straordinaria per gli storici: aprendo un filone di ricerche oggi pressoché inesplorato, esso consente di verificare se le figure della famiglia Sforza tratteggiate ai piedi della Crocifissione siano effettivamente attribuibili alla mano di Leonardo.

L’annale 2019 dell’ “Archivio Storico Lombardo” pubblicato dalla casa editrice Scalpendi.

In riferimento alle celebrazioni per il cinquecentenario dalla morte di Leonardo, occorre ricordare due saggi importanti sull’argomento contenuti nell’ultimo numero dell’Archivio Storico Lombardo (2019), l’annale pubblicato dalla Società Storica Lombarda che approfondisce con studi rigorosi temi afferenti alla storia del territorio lombardo in età medievale e moderna. Il primo contributo, dello storico dell’arte Edoardo Rossetti, Un diluvio di appunti: l'”Archivio Storico Lombardo” e qualche nota inedita su personaggi vinciani (Evangelista da Brescia e Pietro Monte) (pp.221-248), si segnala per la novità riguardante una più precisa individuazione del luogo in cui si trovava la celebre vigna che Ludovico il Moro donò a Leonardo da Vinci. Muovendo dallo studio di un documento relativo all’acquisto di un terreno, Rossetti è riuscito a localizzare con precisione il luogo della vigna, che si trovava nel sestiere di Porta Vercellina. Essa confinava da un lato con l’antico naviglio che scorreva nell’attuale via Carducci, dagli altri lati con le proprietà dei gesuati di San Gerolamo e di altri privati. Si trattava di una posizione di assoluto rilievo nella Milano rinascimentale, a poca distanza dalla chiesa di Santa Maria delle Grazie, dall’attiguo convento dei domenicani e dal quartiere che il Moro aveva voluto formare tra le attuali vie Zenale, San Vittore e Corso Magenta affinché potessero abitarvi i membri più fedeli del suo governo.

Il secondo saggio dello studioso Cesare S. Maffioli, Alle origini del mito di Leonardo Da Vinci ingegnere dei navigli di Milano (pp.249-270), ricostruisce le origini cinque-seicentesche di una vecchia tesi secondo la quale il genio toscano sarebbe stato l’inventore del naviglio Martesana e delle chiuse. Si tratta, come si può facilmente constatare, di un errore storico perché il sistema delle conche per gestire i dislivelli e i salti d’acqua esisteva da tempo nel ducato di Milano; inoltre varrà la pena ricordare che il Naviglio Martesana venne costruito sotto il ducato di Francesco Sforza (1450-1466), molto tempo prima quindi dell’arrivo di Leonardo in città. L’autore del Cenacolo contribuì invece a perfezionare il sistema dei navigli, lavorando alla conca di San Marco che consentiva di collegare la Martesana con la Fossa Interna del centro cittadino, resa in quell’occasione navigabile e collegata al Naviglio Grande presso la pre-esistente Conca di Viarenna (oggi via Conca del Naviglio).

A Leonardo si dovette inoltre, negli anni del dominio francese seguiti alla cacciata del Moro, l’idea di elaborare un progetto per la navigazione dell’Adda dal Lago di Como fino all’incile del Naviglio Martesana presso Trezzo, il che avrebbe consentito di navigare da Lecco fino a Milano mediante il trasporto di merci e persone. Un’idea per nulla fuori luogo all’epoca, se pensiamo che un risultato analogo era stato conseguito dai milanesi fin dal XIII secolo mediante la realizzazione del Naviglio Grande, che collegava il Lago Maggiore con la Darsena cittadina: in quell’occasione tuttavia le opere non si erano rivelate particolarmente difficili, non trovandosi in quei luoghi un dislivello imponente tra la parte pedemontana e la pianura. Cosa diversa era invece la zona a nord-est di Milano, ove l’Adda scorreva in un letto accidentato e scosceso. Molti anni dopo l’idea leonardesca venne ripresa dall’ingegnere Giuseppe Meda, che nel 1590 ottenne l’approvazione delle autorità spagnole al suo progetto di naviglio. Le operazioni, quantunque iniziate con i migliori auspici, vennero tuttavia interrotte a seguito di alcune calamità naturali (inondazioni ripetute dell’Adda), ma soprattutto per gli scontri ripetuti che avevano opposto il Meda ai colleghi che lo affiancavano nell’esecuzione dell’opera. Inoltre la sua morte (1599) finì con il bloccare definitivamente i lavori che pure erano stati iniziati lungo il corso dell’Adda. Com’è noto, il Naviglio immaginato da Leonardo venne costruito solo nella seconda metà del Settecento: il canale – il Naviglio di Paderno – fu ultimato nel 1777 sotto il regno di Maria Teresa d’Asburgo negli anni del dominio austriaco della Lombardia.

Milano e la fitta rete delle sue associazioni

In età medievale e moderna le associazioni assunsero un ruolo importante nel fare di Milano una metropoli animata dai valori sociali dell’assistenza e della carità.

Milano e le sue associazioni
L. Aiello, M. Bascapé, D. Zardin, Milano e le sue associazioni. Cinque secoli di storia cittadina (XVI-XX secolo), Scalpendi Editore, Milano 2014.

Da alcuni anni il Dipartimento di Storia dell’Economia, della Società e di Scienze del territorio “Mario Romani” dell’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Archivio e Beni Culturali dell’Azienda per i Servizi alla Persona Golgi Redaelli svolgono un’opera di ricerca e mappatura delle associazioni che furono attive nei sestieri cittadini dal Medioevo all’Età Moderna. Il progetto, diretto dal professor Danilo Zardin, dal dottor Marco Bascapé e dalla dottoressa Lucia Aiello, ha reso possibile l’attivazione di un sito internet, Milano e le sue associazioni, i cui contenuti sono di notevole interesse per gli studiosi di Milano. Questo sito, facilmente accessibile e consultabile nelle varie sezioni, ha il merito di rivolgersi anche a un pubblico non specialistico. Per gli studiosi consiglio il bel volume, curato da Zardin, Bascapé, Aiello, Milano e le sue associazioni. Cinque secoli di storia cittadina (XVI-XX secolo), Scalpendi Editore, Milano 2014, 179pp. Arricchito da molte immagini, il libro contiene alcuni saggi dedicati alla città ambrosiana dall’età medievale all’Otto-Novecento.

Quello delle corporazioni è un tema importante perché la crescita economica, civile e culturale della città non fu possibile senza il disciplinamento e il concreto operare di queste associazioni per il bene della comunità. Val la pena ricordare che la battaglia contro le corporazioni, accusate di ostacolare lo sviluppo economico della società, iniziò a manifestarsi solo nella seconda metà del Settecento, vale a dire nel periodo delle riforme dell’assolutismo illuminato che tesero a ridurre progressivamente le autonomie dei corpi sociali concentrando le funzioni pubbliche – anche quelle in campo caritativo e assistenziale – negli apparati burocratici dello Stato assoluto.

La società milanese del medioevo e dell’ancien régime – almeno fino alla metà del Settecento – era invece profondamente innervata di associazioni e corporazioni.  Le persone contavano nella misura in cui facevano parte di una schola, di una universitas che, riconosciuta e legittimata dal potere pubblico, consentiva alle persone di svolgere una funzione in una societas cristiana strutturata in modo organico. Senza la trama di confraternite laicali e religiose, senza quel fitto reticolo di corporazioni che si inseriva fin nei più remoti interstizi della società, Milano non avrebbe sviluppato quello spirito di comunità che fu un tratto distintivo della metropoli almeno fino al primo Novecento. Oggi la nostra società è divisa per classi in una economia di mercato in cui l’influenza dei gruppi, confinata nel diritto privato, risiede nella loro capacità di produrre e vendere beni generando ricchezza per sé e per uno Stato separato dalla Società.

Nella società medievale e in quella d’ancien régime non esisteva la divisione pubblico/privato tipica del costituzionalismo “borghese”. La comunità era divisa in “ordini” o “stati” ove i gruppi, rigidamente gerarchizzati, traevano la loro legittimazione dalla funzione sociale che esercitavano in base a valori quali l’onore, la stima, la dignità, la fede religiosa, l’assistenza verso i deboli.

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Tiziano Vecellio, Incoronazione di spine, 1540-1542, Parigi, Musée du Louvre

D’altra parte, per ridurre la questione all’attualità, senza questo tipo di istituzioni corporative noi non avremmo opere d’arte di straordinario valore artistico e culturale: ad esempio il meraviglioso dipinto della Vergine delle Rocce, commissionato a  Leonardo da Vinci nel 1483 dalla confraternita dell’Immacolata Concezione attiva presso la chiesa di San Francesco Grande in Porta Vercellina (chiesa oggi scomparsa, si trovava ove oggi è la Caserma Garibaldi); oppure l’Incoronazione di Spine di Tiziano, opera eseguita tra il 1540 e il 1542 per volontà del Luogo Pio di Santa Corona che svolgeva un’attività che potremmo ricondurre al campo medico e farmaceutico.

Le corporazioni si legavano non solo alle attività lavorative praticate dai soci nell’esercizio di un’arte, ma si riconducevano a finalità di tipo devozionale in forme di religiosità cristiana diffuse nel Medioevo e nell’Età Moderna. Era il caso della corporazione dei muratori e lavoranti nell’edilizia milanese denominata con i termini “paraticus”, “schola paratici”, “magistri a muro et a lignamine ac ingenierii”, che nel 1480 chiedeva al duca di Milano di affittare la chiesa di Santa Maria de Ceppis in Porta Vercellina per svolgere le proprie riunioni e praticare gli uffici divini.

A rendere possibile l’esistenza e il concreto operare di questo tipo di associazioni era la tipica divisione della città in vicinie, dall’unione delle quali erano formati i distretti parrocchiali; le parrocchie erano ordinate a loro volta all’interno dei sestieri milanesi. Le vicinie erano per lo più tratti di contrade e piazze ove si trovavano più abitazioni. Nelle vicinie erano attive molte confraternite di laici: il Consorzio della Pagnottella, di cui facevano parte quanti abitavano nel vicinato della Porta Vercellina sul naviglio, distribuiva pane ai poveri della zona. Un’altra schola di vicinato era dedita alla manutenzione delle immagini sacre: da quella attiva presso la chiesa di San Satiro nel 1480 alla confraternita operante nel vicinato della chiesa di Santa Maria Segreta nel 1516 (chiesa oggi scomparsa).

In altri casi vi furono confraternite attive in opere di assistenza i cui membri appartenevano al ceto patrizio e nobiliare. Indicativa ad esempio la composizione elitaria dei consorzi elemosinieri che formavano il capitolo dell’Ospedale Maggiore di Milano fondato dal duca Francesco Sforza; un altro caso emblematico era la Società dei Protettori dei Carcerati, istituita nel 1466 per assistere i detenuti nelle prigioni della Malastalla (vicino a Piazza Mercanti) svolgendo un servizio che giungeva sino alla protezione legale nei confronti di quanti erano arrestati ingiustamente. Tra i membri di questa Società figurava Giovanni Arcimboldi, maestro delle entrate straordinarie del ducato di Milano, divenuto poi arcivescovo della città.

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Agostino Santagostino, Conforto del condannato, 1660-1665, Como, Pinacoteca Civica. L’opera fa parte di un ciclo di dipinti eseguiti su committenza della “nobile Compagnia” di San Giovanni Decollato.

Un’altra potente corporazione a netta composizione nobiliare furono i Disciplinati di Santa Maria della Morte attivi nella contrada delle Case Rotte nel sestiere di Porta Nuova. Il peso di questa confraternita nella vita cittadina era ben indicato dalle disposizioni emanate dal duca Gian Galeazzo Visconti nel 1395; disposizioni in base alle quali il 29 agosto, giorno della decollazione di San Giovanni Battista, i rappresentanti delle istituzioni cittadine erano tenuti a recarsi in processione nella chiesa di Santa Maria della Morte per farvi un’offerta di 75 lire imperiali. Tra le istituzioni milanesi che partecipavano a questa solenne iniziativa erano il podestà, il vicario e i XII di Provvisione (corrispondenti all’incirca alla nostra giunta comunale) e i paratici con i loro gonfaloni (ossia le varie corporazioni e le confraternite).

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La preziosa banca dati nel sito “Milano e le sue associazioni”. La città è divisa nei suoi antichi sestieri.

Milano e le sue associazioni merita di essere segnalato per un’altra ragione importante, che si ricollega  a quel principio della “eterogenesi dei fini” assai familiare agli storici nello studio dei documenti. Questo sito ha un interesse che oltrepassa il mondo delle associazioni milanesi. Difatti, nella sezione “Banca Dati”, il visitatore dispone di un atlante storico ad alta risoluzione della Milano articolata nei suoi tradizionali sestieri: Porta Orientale, Romana, Ticinese, Vercellina, Comasina, Nuova. Le fonti sono la mappa del catasto teresiano (1751) e le piante edite da Vallardi nel 1884 e nel 1928: strumenti preziosi per chi desidera conoscere non solo il fitto mondo delle associazioni dall’età medievale all’età contemporanea ma anche l’evoluzione urbanistica della città, passata tra Otto e Novecento a una radicale trasformazione del suo tessuto viario in molti quartieri del centro. L’integrazione di queste vecchie piante con la mappa di Milano elaborata da Google Maps consente una percezione immediata dei cambiamenti urbanistici intervenuti nel corso del tempo. Occorre infine ricordare che sulle tre mappe è possibile individuare l’ubicazione delle chiese e degli edifici che furono sedi delle corporazioni, confraternite, associazioni dall’età medievale alla Milano otto-novecentesca.

Dall’uva dei ‘borghi’ alla vigna di Leonardo

Settembre è il mese della vendemmia.  Milano ha molto da raccontare. Nei secoli dell’età moderna e ancora a metà Ottocento, quando la città era racchiusa entro la cerchia dei bastioni, esistevano alcune zone ove si produceva e si vendeva il vino. Tale fenomeno interessava soprattutto i luoghi di campagna, i “borghi” come venivano chiamati in relazione alle sei porte medievali che si trovavano nelle vicinanze (Porta Orientale, Romana, Ticinese, Vercellina, Comasina, Nuova). Situati tra la cerchia del Naviglio Interno e il perimetro dei bastoni spagnoli, i borghi erano spazi agresti attraversati da una grande arteria stradale, dominati fino alla metà dell’Ottocento dai giardini delle ville patrizie, dagli orti dei conventi e dai campi di alcuni proprietari privati. In fondo, i borghi di Milano riproducevano in piccolo i tratti della campagna milanese che si stendeva fuori dalle mura, nei territori dei Corpi Santi e dei Comuni limitrofi.

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Il palazzo Castiglioni-Stampa in un’incisione settecentesca di M.A. Dal Re

Ma torniamo al punto dal quale siamo partiti: la vendemmia nella Milano Sette-Ottocentesca. Chi fosse entrato a Milano in questo periodo dell’anno, passeggiando lungo i borghi cittadini, avrebbe trovato in parecchi isolati il cartello “si vende uva”. Dalle fonti sappiamo che alcune case nei pressi delle vie Quadronno, Commenda (nel borgo di Porta Romana), Vivaio (nel borgo di Porta Orientale) o nel borgo delle Grazie in Porta Vercellina (oggi corso Magenta verso piazzale Baracca), possedevano ettari di terreno piantati a vite. Bisogna però ricordare che la produzione e la vendita dell’uva non riguardava solo i borghi fuori del naviglio. Anche all’interno delle mura medievali, nel fitto reticolo cittadino, c’erano residenze nobiliari i cui proprietari mettevano a disposizione i sotterranei per vendere l’uva. Un caso emblematico era la stupenda casa Castiglioni-Stampa (poi Silvestri), l’edificio bramantesco tuttora esistente in corso Venezia. Nel mese di settembre, quando era attivo il mercato dell’uva, i milanesi la conoscevano come la cantinetta  de Cà Castiona.

Certo, noi oggi fatichiamo a immaginare che in zone fittamente urbanizzate del centro potessero trovarsi spazi adibiti alla coltura della vite. Tale realtà diviene però comprensibile se consideriamo le dimensioni di Milano in età moderna (la città si attestava intorno al 1851 sui 158.000 abitanti), il ruolo fondamentale rivestito dall’agricoltura nell’economia del tempo e i tratti agresti dei borghi all’interno delle mura.

D’altra parte, piantare viti e produrre vino in centro città non è cosa irrealizzabile. Qualcuno ci sta provando con grande passione e competenza. In fondo, il centro cittadino non è così urbanizzato come sembra a prima vista. Molti palazzi dispongono di ampi spazi verdi. Ma chi ha avuto il coraggio di produrre il vino nella Milano di oggi?  Sei curioso eh? Per spiegartelo, devo raccontarti una breve storia.

Il Borgo delle Grazie dalla Pianta di Milano di Marco Antonio Dal Re, 1734
Il Borgo delle Grazie dalla Pianta di Milano di Marco Antonio Dal Re, 1734

Alla fine del Quattrocento Ludovico il Moro progettò di costruire un quartiere residenziale che avrebbe rivestito un ruolo ambizioso nella Milano sforzesca: il borgo delle Grazie attorno alla omonima chiesa di Santa Maria. Nelle intenzioni del duca, esso sarebbe stato ingrandito e impreziosito con edifici di notevole valore architettonico. Tra i progetti, rimasti per lo più incompiuti in seguito alla conquista francese del ducato di Milano avvenuta nel 1499, c’era il mausoleo degli Sforza da costruire nella basilica di Santa Maria delle Grazie. Una parte di quel progetto poté tuttavia essere realizzata. Il Cenacolo venne portato a compimento. La parte absidale di Santa Maria delle Grazie fu disegnata da Bramante in stile rinascimentale. D’altra parte Ludovico fece in tempo ad assegnare ai suoi favoriti alcune proprietà nella zona. Due case del borgo furono donate agli Atellani, funzionari ducali fedeli alla signoria sforzesca. Negli anni Venti del secolo scorso Piero Portaluppi le ristrutturò e ne valorizzò le parti rinascimentali fondendole in un unico complesso tuttora visitabile: la Casa degli Atellani.

Leonardo da Vinci, che si trovava a Milano al servizio del Moro come ingegnere militare, ricevette in dono una vigna che superava di poco l’ettaro di dimensione. Si trovava in un’area compresa tra le attuali vie Carducci (ove scorreva il naviglio di san Gerolamo), corso Magenta, via Zenale e via San Vittore. Qualcuno potrebbe chiedersi per quale motivo il duca di Milano avesse regalato a Leonardo una vigna. Il genio toscano era stato allevato in una famiglia di vignaioli ed è lecito ipotizzare che fosse un raffinato estimatore del vino.

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Quel che restava della Vigna di Leonardo in una foto del primo Novecento (Portaluppi)

Oggi, grazie agli studi storici rigorosi promossi dalla Fondazione Portaluppi, è stato possibile individuare il luogo ove si trovava una parte della vigna leonardesca, quella compresa nella proprietà della Casa degli Atellani. Dopo alcune analisi condotte sul terreno, gli studiosi della Facoltà di Scienze Agrarie dell’Università degli Studi di Milano hanno ritrovato le tracce del vitigno originario ricostruendone il profilo genetico. Si è così scoperto che il vitigno leonardesco apparteneva a un tipo di Malvasia assai diffuso nell’Italia del Quattrocento: la Malvasia di Candia Aromatica.

Oggi la Fondazione Portaluppi restituisce a Milano una pagina dimenticata di storia milanese: la vigna di Leonardo. Sessanta viti a piede americano prodotte in serra sono state piantate nel luogo dell’antica vigna rispettando i filari originali. Grazie a questo lavoro, la vigna di Leonardo è tornata a rivivere.

Se vuoi saperne di più, guarda questo video 😉

 

Giro del mondo sull’aereo figlio del Sole

Ieri è decollato da Abu Dhabi il primo prototipo di aereo alimentato esclusivamente con l’energia del sole. Al comando del Solar Impulse 2 – le cui ali superano in lunghezza quelle del jumbo jet della Boeing – è lo svizzero Bertrand Piccard, assistito dal collega André Borschberg. Il velivolo farà il giro del mondo passando sopra l’India, la Cina, l’Oceano Pacifico, l’America, l’Oceano Atlantico e l’Europa. Se tutto andrà bene, le ore di volo previste saranno in tutto 500, distribuite nell’arco di cinque mesi.

Qualora Piccard riuscisse nella sua impresa (com’è d’altra parte in tutti i pronostici), ci troveremo dinanzi a una svolta epocale perché le grandi aziende costruttrici di aeroplani – che hanno rifiutato di finanziare il Solar Impulse 2 – saranno costrette a fare marcia indietro. Maggiori risorse saranno investite nella ricerca per la fabbricazione di aerei di linea ad energia solare. I benefici saranno considerevoli, soprattutto nella riduzione dell’inquinamento atmosferico.

Bertrand Piccard
Bertrand Piccard (n.1958)

Il Solar Impulse 2 ha una forma curiosa: la notevole apertura alare e le ruote appese a un lungo carrello sotto la piccola cabina di equipaggio lo rendono simile a un enorme insetto. La superficie dell’aereo è coperta da celle solari ultra leggere prodotte dall’azienda belga Solvay, i cui laboratori di ricerca hanno sede a Bollate, un Comune alle porte di Milano. Queste celle forniscono energia alle batterie al litio con cui sono alimentati i quattro motori elettrici presenti nel prototipo. Il velivolo sta viaggiando a una velocità di 50 Km/h.

Ieri, quando ho visto il video che mostrava il decollo del Solar Impulse 2, il pensiero è corso a Leonardo da Vinci. Nella sua feconda vita di pittore, ingegnere e studioso, Leonardo si sforzò d’inventare un paio di ali meccaniche che consentissero all’uomo di volare. Un sogno che non riuscì a tradursi in realtà per molti secoli, finché l’invenzione dei motori ad elica cambiò la storia. Leonardo fu il primo a capire che uno dei segreti del volo risiedeva nello sfruttamento delle correnti d’aria. Nell’osservare gli uccelli rapaci scrisse in una bella nota risalente ai primi anni del Cinquecento:

Quando l’uciello ha gran larghezza d’alie e pocha choda, e che esso si voglia inalzare, allora esso alzerà forte le alie, e girando riceverà il vento sotto l’alie, il qual vento facendosegli intorno lo spingerà molto con prestezza, come il cortone uccello di rapina chio vidi andando a Fiesole sopra il locho di Barbiga nel [150]5 addì 14 di Marzo.

In fondo, l’impresa di Piccard si pone nel solco di tante avventure compiute in passato da uomini ardimentosi, i quali tentarono la sorte con gli ultimi ritrovati della scienza.

La mongolfiera del conte Andreani
La mongolfiera del conte Andreani mentre prende il volo nei pressi di Moncucco

E’ il caso ad esempio del conte Paolo Andreani (1763-1823), appartenente a una ricca famiglia del patriziato milanese, il cui palazzo a Milano ha dato il nome alla Biblioteca Comunale, la Sormani appunto. Andreani volle ripetere l’impresa dei fratelli Montgolfier: finanziò la costruzione di una grande mongolfiera affidandone la costruzione ai fratelli Agostino, Giuseppe e Carlo Gerli. Si trattava di un globo aerostatico che misurava 72 piedi in altezza e 66 in larghezza. Il conte prese il volo il 13 marzo 1784 prendendo quota dal giardino della sua villa di campagna sita a Moncucco (un paese in provincia di Milano). Il pallone scomparve subito tra le nubi. Dopo mezz’ora il conte venne trovato a tre miglia dal paese facendo tirare un sospiro di sollievo alla popolazione e alle autorità. Non fu un viaggio lungo ma bastò a rendere celebre l’Andreani, che fu invitato a Parigi per incontrare i maggiori studiosi di aeronautica. Ad Andreani si deve peraltro l’invenzione dell’eudiometro, uno strumento in grado di calcolare la quantità di ossigeno presente nell’atmosfera.

Meno fortunata l’impresa del bolognese Francesco Zambeccari (1762-1812). Tra il 1803 e il 1812 questi effettuò alcune  ascensioni con una mongolfiera di sua invenzione. Trovò la morte nel corso di una di queste imprese.

Il canonico Luigi Mantovani, in alcune note del suo diario, ci ha lasciato la curiosa testimonianza di un volo risalente all’ottobre del 1803. Zambeccari si era innalzato con il suo pallone in un luogo imprecisato tra le Romagne e le Marche. Poche ore dopo i membri della spedizione, perso il controllo della mongolfiera per un forte temporale, furono trasportati dalle correnti fin sopra le acque dell’Istria, dove si buttarono in mare colti dal freddo e dalla disperazione. La mongolfiera, priva di equipaggio, continuò imperterrita il suo viaggio. Venne ritrovata in Bosnia alcuni mesi dopo, curiosamente venerata dalle popolazioni locali (cristiane e musulmane) come se fosse una reliquia divina.

Seguiamo nelle note del Mantovani  le notizie frammentarie che erano giunte a Milano. E’ curioso che il canonico non esiti a bocciare la spedizione del conte bolognese, giudicato un pazzo esaltato in cerca di notorietà.

 16 ottobre 1803

Con staffetta espressa venuta da Bologna si dice essersi saputo colà da Pesaro, e con varie lettere del Rubicone, che gli Areonauti (sic!) sei ore dopo la partenza sono andati a cadere nelle acque d’Istria, e che per accidente furono raccolti in una barca. Si aggiunge che erano stati un giorno e mezzo senza parlare, che erano gonfi, e che si dovette loro tagliar gli abiti indosso. Questa notizia non essendo stata portata dal corriere di Venezia non pare verosimile

19 ottobre 1803

Si sono avute ulteriori, e più distinte notizie del Pallone sventurato di Zambeccari. Fortunatamente i tre Aeronauti furon ajutati da una barca in dette acque,e co’ pronti rimedj voglionsi quasi ridotti a buon essere di salute: contano essi di varie cose da loro vedute nell’altissimo giro dell’aria, varie vicende etc. che forse saran frottole, o sogni imaginarj di quella fantasia abitualmente stravolta, senza la quale non sarebbe stata possibile la loro matta determinazione

 21 ottobre 1803

Il Governo sempre sollecito per le utili cognizioni e per le intraprese vantaggiose al ben pubblico, si è fatto premura di render conto alla nostra Città dell’esito del conte Zambeccari che ha volato in Bologna. Dio volesse che si perdesse non solo la razza, ma anche la memoria di simili disperati, che senza aver in vista alcun bene, arrischiano quanto è più prezioso, cioé la vita, per una buffoneria. Il Conte Zambeccari è curato in Venezia dall’assistenza dei’ migliori medici per vedere di recuperarlo ne’ suoi sensi esteriori ch’egli ha perduto, sia pel freddo, sia per lo spavento, assai più degli altri suoi socj. Egli conta di aver sofferto una fiera tempesta con successiva neve, e dippiù esservi trovato in situazion parallela alla luna. Sì l’una che l’altra di queste supposizioni devesi attribuire a fantasia esaltata.

 3 dicembre 1803

 Giunge oggi la notizia della finale caduta del Pallone Zambeccari. Esso è caduto nella Bosnia, non molto lungi dal forte turco Viatrez alla sponda dell’Uria, 14 ore lontano da Gospich. Nel globo si trovarono alcune ruote e catene di ferro e tre capelli. Fu creduto prodigio da’ Turchi e da’ Cristiani, che a vicenda si disputarono il possesso, ed oggi pure il vulgo colà è fisso nell’opinione di cosa miracolosa a segno, che corrono gli malati a prender dell’acqua del ruscello, ove discese il globo, per guarire dai loro malanni

Non resta che augurare buona fortuna a Piccard. Speriamo che un giorno, grazie alla sua impresa, potremo salire su un aereo di linea alimentato con la sola energia solare.