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Alla corte dei duchi di Milano: il libro di lusso

L’arte di rilegare, decorare, miniare e scrivere i libri acquisì una sua dignità nel Medioevo quando i monaci, seduti negli scriptoria, ricopiarono con opera indefessa i testi dell’antichità compatibili in larga parte con i valori etici e morali del cattolicesimo. Recentemente ho letto Il Nome della Rosa di Umberto Eco, il celebre romanzo ambientato in un’abbazia dell’Italia del Nord. Quando penso ai codici miniati, il pensiero corre alle decorazioni incompiute di frate Adelmo nei volumi del suo scrittoio. Il romanzo è ambientato nella prima metà del XIV secolo eppure, già a quell’epoca, la Chiesa non era più la sola istituzione a curare la rilegatura, la scrittura e la decorazione dei libri.

Nell’Italia del XIV e XV secolo i poteri secolari – signorie, principati e repubbliche – si fecero portatori di una politica culturale tesa a legittimare i fondamenti del potere. I libri sfarzosamente cesellati – come avveniva per gli affreschi, le pitture e le sculture nelle chiese – rientravano in un disegno teso ad esaltare il regime politico esistente. Anche per le famiglie della nobiltà il libro di lusso costituì un segno di status, il mezzo con cui mostrare il potere cui erano pervenute.

Milano fu una delle città più attive nell’elaborazione dei codici miniati. Nella seconda metà del Trecento la città ambrosiana acquisì un ruolo centrale nell’arte del libro. Gli inizi si collocano sostanzialmente negli anni successivi alla fondazione dell’Università di Pavia per intervento di Galeazzo II Visconti (1361) e al soggiorno di Petrarca a Milano tra il 1353 e il 1361. In questo periodo la famiglia Visconti formò una prima biblioteca, la cui struttura si poneva nel quadro tipico di un casato appartenente alla nobiltà feudale. Uno dei primi capolavori della miniatura gotica lombarda può essere considerato il Libro d’Ore di Bianca di Savoia, moglie di Galeazzo, risalente al 1378 ca. In questo codice, conservato a Monaco presso la Bayerische Staatsbibliothek (ms. lat.23215), oltre alle iniziali miniate, sono presenti 35 pitture a tutta pagina opera di Giovanni di Benedetto da Como, che nei suoi interventi riprese motivi e decorazioni presenti nella pittura a fresco.

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Codice del Guiron Le Courtois, Galvano salva Arturo, 1370-1380ca

Anche il fratello di Galeazzo, il signore di Milano Barnabò Visconti, commissionò alcuni codici di altissimo valore. Ricordo il volume Guiron le Courtois (conservato a Parigi, Bibliotèque Nationale, ms. nouv,acqu. 5243), ove sono narrati episodi cavallereschi di Artù e di Lancillotto, il ciclo bretone assai diffuso nelle corti di Francia, Inghilterra e Bretagna. Questa letteratura, diffusa nei territori ove si parlava la lingua d’oil, si affermò notevolmente in area padana tra Due e Trecento. Il codice Guiron si caratterizza per l’altissimo pregio delle miniature e dei disegni. Un altro codice è il Lancelot du Lac (Parigi, Bibliotèque Nationale, ms.fr.343), rimasto però incompiuto per la morte di Bernabò avvenuta nel 1385.

Gian Galeazzo, conquistato il potere mediante un colpo di Stato che portò all’arresto dello zio Barnabò, riconosciuto duca di Milano dall’imperatore Venceslao nel 1395, condusse una politica ambiziosa e fortunata che lo rese signore di un vasto territorio esteso all’Italia centro settentrionale. Siamo al periodo d’oro della signoria viscontea.

Allo stesso Gian Galeazzo risale la formazione della biblioteca ducale mediante azioni ben definite. Anzitutto occorre ricordare la requisizione dei libri presenti nelle ricche biblioteche delle città conquistate: arrivò così a Milano una lunga fila di carri contenenti i preziosi volumi che provenivano da Vicenza, Verona e Padova. Anche nella stessa città ambrosiana, presso famiglie che erano vicine ai Visconti per ragioni di sangue o di lavoro, si ebbe un risultato analogo: ad esempio, l’arresto e l’uccisione di Bernabò coincise naturalmente con la requisizione della sua biblioteca e lo stesso accadde al cancelliere ducale Pasquino Capelli, morto nelle prigioni viscontee.

Nel 1426, più di vent’anni dopo la scomparsa di Gian Galeazzo, la biblioteca ducale contava 988 codici ponendosi ai livelli delle maggiori corti europee. Risale a questo periodo l’Offiziolo Visconti (conservato a Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, B.R.397): la prima parte fu opera di Giovannino de Grassi, uno dei massimi esponenti della cultura gotico cortese lombarda, che rivestì l’ufficio di direttore della Fabbrica del Duomo; a decorare la seconda parte fu chiamato nel 1412 Belbello da Pavia su commissione del nuovo duca Filippo Maria Visconti, che proprio in quell’anno era asceso al potere in seguito alla morte improvvisa del fratello Giovanni Maria, pugnalato nella chiesa di San Gottardo (dietro al palazzo Reale).

Non è qui possibile fare una storia del libro di lusso nella Milano rinascimentale. Basterà ricordare che la ricca biblioteca viscontea, parzialmente danneggiata in seguito all’instabilità politica nel breve periodo della repubblica ambrosiana (1447-1450) – tornò in auge sotto gli Sforza per merito soprattutto dei duchi Galeazzo Maria (1466-1476) e Ludovico il Moro (1480-99).

I nuovi stilemi del rinascimento italiano furono introdotti a Milano dal miniatore Cristoforo de Predis, che lavorò non solo per la corte ducale, ma anche per una famiglia importante dell’aristocrazia quale i Borromeo. Merita di essere ricordato in proposito il celebre Libro d’Ore Borromeo, risalente agli anni 1471-1474: questo codice, conservato nella Biblioteca Ambrosiana di Milano (segnatura SP 42), presenta il testo arricchito per la prima volta mediante l’artificio di una pergamena, dipinta come se fosse appesa al di sopra degli spazi riservati alle miniature.

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Giovan Pietro Birago, Frontespizio della Sforziade di Giovanni Simonetta destinata al duca Gian Galeazzo Sforza, 1490.

Altro artista di notevole valore fu Giovan Pietro Birago, attivo negli anni di Ludovico il Moro: meritano di essere citati i quattro stupendi frontespizi della Sforziade, l’edizione a stampa in lingua volgare di Giovanni Simonetta.

La caduta di Ludovico Sforza, la conquista francese del ducato di Milano portarono alla dispersione della ricca biblioteca visconteo-sforzesca: una parte cospicua di quei preziosi volumi venne portata in Francia come bottino di guerra. Basti ricordare che quasi 400 libri oggi conservati alla Biblioteca Nazionale di Parigi possono essere ricondotti alla corte visconteo-sforzesca.

Tra la fine del Quattrocento e i primi anni del Cinquecento la stagione del libro di lusso era sostanzialmente finita. La stampa a caratteri mobili, che rivoluzionò il mercato rendendo accessibile l’acquisto dei volumi a un vasto pubblico, segnò il netto declino del libro di corte.