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Due associazioni d’élite nella Milano della Restaurazione

Nell’articolo precedente abbiamo visto come nella Milano di fine Ottocento il fenomeno delle associazioni avesse assunto una dimensione ragguardevole grazie alla libertà di riunione garantita dallo Statuto Albertino. Abbiamo anche notato come quelle associazioni fossero in larga parte una realtà borghese o piccolo borghese.

Ingresso di Francesco I nel 1825 da Porta Orientale
Ingresso dell’imperatore d’Austria Francesco I da Porta Orientale, 1825. Fonte: Wikipedia.

La situazione era completamente diversa nella Milano della Restaurazione, quando la città a partire dal maggio 1814 tornò sotto il dominio dell’impero asburgico. Non dobbiamo pensare che l’Austria avesse soffocato d’improvviso lo spirito associativo lombardo. Esso giaceva in uno stato di “mortale languore” già negli anni della repubblica italiana e del regno d’Italia napoleonico (1802-1814) quando lo Stato, retto su una Costituzione autoritaria, aveva sottoposto a rigida tutela il mondo delle società. Difatti, il decreto 130 emanato il 27 dicembre 1802 dal ministro dell’interno vincolava all’autorizzazione del governo qualsiasi tipo di associazione: ottenere il permesso non era semplice giacché occorreva trasmettere allo Stato “il piano dell’associazione colla specificazione degli oggetti e regolamenti rispettivi”. Il decreto stabiliva poi che un “delegato di polizia” avrebbe avuto accesso alle riunioni affinché le autorità potessero sorvegliare l’attività del sodalizio. Ho citato il decreto del 1802 perché esso regolò il mondo delle associazioni milanesi sostanzialmente fino all’Unità d’Italia. L’Austria non apportò cambiamenti. Si limitò a confermare il dettato della normativa esistente. Nulla di cui stupirci: l’impero asburgico era una monarchia il cui regime autoritario era pari a quello napoleonico, sia pure mitigato da alcuni istituti di autogoverno comunale e di rappresentanza corporativa che il Sovrano aveva graziosamente concesso al Lombardo Veneto.

Ma quante erano le associazioni nella Milano della Restaurazione, negli anni immediatamente seguenti alla caduta di Napoleone (1815-1821)? Assai poche. Basterebbero le dita di una mano per contarle tutte. Esse interessavano una ristretta élite composta di aristocratici e di personalità appartenenti all’alta borghesia cittadina. Ci soffermeremo sulle due più importanti, il Casino dei Nobili e la Società del Giardino.

Palazzo Talenti Fiorenza in via Verdi 6
Palazzo Talenti Fiorenza in via Verdi 6  da www.lombardiabeniculturali.it

Il Casino dei Nobili si trovava nel palazzo Talenti Fiorenza nella contrada di San Giuseppe al civico 1602 (oggi via Verdi 6), a due passi dal Teatro alla Scala. Sorto nel 1800, il sodalizio nasceva per riunire la nobiltà in un luogo esclusivo di ricreazione. Il che lascerebbe presupporre che l’unica condizione per farvi parte fosse la nobiltà di sangue. In realtà le cose non stavano esattamente così. Difatti per accedervi occorreva disporre dell’Hofzutritt, vale a dire dell’accesso alla corte imperiale. Non tutti i nobili potevano godere di questo privilegio. V’era poi un altro requisito: le persone di sangue blu dovevano disporre di un notevole patrimonio per pagare le quote associative, piuttosto alte. Se il richiedente non era in grado di pagare, non era ammesso. Si trattava di un criterio censitario che, a ben vedere, non aveva nulla da spartire con le logiche corporative della società d’ancien régime: logiche in base alle quali un individuo non contava per la sua ricchezza o per la capacità di produrre beni materiali, ma godeva dei diritti legati alla funzione che il suo ceto di appartenenza rivestiva nella società. La Rivoluzione francese aveva segnato il crollo di quel mondo e, nonostante le apparenze, i nobili che avevano aderito al Casino mostrarono di accettare il nuovo principio della società civile a matrice individualistica. Dando vita a questa società sul modello della società per azioni, essi accolsero la logica – tutta borghese – del diritto a godere di un servizio per il quale una persona, agendo di sua libera iniziativa, aveva scelto di pagare versando una quota in denaro.

Palazzo Spinola, Sala d'Oro
Palazzo Spinola in via San Paolo 10, Sala d’Oro.

Diversamente dai nobili, il cui casino si era eclissato già negli anni Cinquanta dell’Ottocento, la Società del Giardino esiste ancora oggi. Si tratta del sodalizio più antico di Milano, la cui fondazione risale agli anni Ottanta del XVIII secolo. A farne parte erano i più alti esponenti della borghesia del commercio e delle professioni. Nel periodo che ci interessa esso attraversava una stagione di splendore: l’acquisto nel 1818 del palazzo Spinola in contrada San Paolo al civico 935 (oggi via San Paolo 10) conferì alla Società del Giardino una certa fama. Vi si tenevano riunioni culturali, ma anche concerti alla presenza di star dell’epoca quali Giuseppina Grassini e Giuditta Pasta. Anche in questo caso si trattava però di una società d’élite. Ce lo indicano le elevate quote di associazione.

In una città popolata da 120.000 abitanti, il fenomeno associativo riguardava alcune centinaia di persone, pari allo 0,5% dei milanesi. Qualcuno potrebbe chiedersi cosa spingesse questi ricchi esponenti del notabilato a riunirsi in tali società. Era così importante ritrovarsi in un locale per giocare a biliardo, fumare sigari, assistere a lezioni di cultura, ascoltare la voce di cantanti famose oppure questi tranquilli sodalizi nascondevano una finalità politica? La domanda non è affatto fuori luogo perché in Inghilterra e in Germania molte associazioni di questo tipo preoccupavano le autorità per le attività cospirative che vi si conducevano.

Tranquilli: nulla di cui preoccuparsi per i sodalizi milanesi, sorti – sembrerebbe di poter dire – con il solo obiettivo di passare il tempo in allegria. Ce lo assicura un funzionario della polizia austriaca, Anton Raab,in una relazione al governatore della Lombardia Franz Saurau risalente al 1817:

“I casini italiani sono cose diverse dai circoli tedeschi o inglesi, che sono in realtà riunioni politiche, pericolose e tumultuose. In Italia non è d’uso ricevere in casa la sera in grande stile, né esiste una socialità familiare allargata. Per questo vengono istituiti i casini; per divertirsi la sera senza vincoli. Nei casini si scherza, si gioca, talvolta si fuma, e ci si intrattiene come meglio si crede. I casini sono luoghi d’espressione della voglia di scherzare, così tipica del carattere degli italiani”.