Fosche nubi si addensano sulla Russia. Nei giorni scorsi il rublo si è svalutato sensibilmente nei confronti di euro e dollaro. Agli sportelli delle banche è stata una corsa al cambio della moneta. Se a questo aggiungiamo il forte calo del prezzo del petrolio, da cui il Cremlino ricava oltre metà delle entrate, non è difficile intuire che i mesi a venire saranno per i russi a dir poco problematici. Alcuni già scommettono che l’anno prossimo Mosca entrerà in recessione. Oggi il presidente Vladimir Putin, parlando in una conferenza stampa davanti a 1200 giornalisti, ha assicurato che il Paese uscirà dal pantano nel giro di due anni. Gli analisti però nutrono seri dubbi.
La crisi della moneta russa è la conseguenza delle tensioni scaturite recentemente nei rapporti tra il Cremlino e la comunità internazionale. Putin ha puntato il dito contro l’Occidente: “La crisi” – ha detto nella conferenza stampa di oggi – “è provocata da elementi esterni. Vogliono che l’orso [la Russia] stia seduto tranquillamente e mangi il miele, ma tentano di metterlo in catene, di togliergli i denti e gli artigli e impagliarlo”. A cosa si riferisce? Alle sanzioni che gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno adottato contro Mosca per aver violato i trattati e le norme di diritto internazionale nella questione ucraina. E’ qui infatti che gli opposti interessi della Russia e dei paesi occidentali si sono scontrati in tutta evidenza. Putin ha mostrato di non voler rinunciare a territori sui quali Mosca ha esercitato da secoli la sua influenza: l’annessione della Crimea, il sostegno ai partigiani filorussi del sudest ucraino sono atti di una politica tesa a difendere il ruolo della Russia quale grande potenza mondiale su un piano di parità con gli altri paesi del G7.
Dall’altra parte troviamo le potenze occidentali, Stati Uniti in testa. Obama ha garantito pieno appoggio ai governi ucraini che si sono succeduti dopo la rivoluzione di Jevromajdan, asserendo che la libertà del popolo ucraino sarà difesa ad ogni costo. Nel discorso tenuto a Varsavia il 5 giugno il presidente degli Stati Uniti, mettendo sullo stesso piano l’Ucraina di oggi con la Polonia dei primi anni Novanta liberata dal comunismo sovietico, ha affermato: “in qualità di uomini liberi noi ci uniamo, non semplicemente per salvaguardare la nostra sicurezza, ma per far compiere passi avanti alla libertà altrui…lo facciamo perché crediamo che i popoli e le nazioni abbiano il diritto di determinare il proprio destino. E ciò include il popolo ucraino”. Obama ha le idee chiare: intende ridimensionare la Russia confinandola al rango di una potenza regionale. L’obiettivo è allargare ad est la sfera d’influenza militare ed economica dell’Occidente, favorendo l’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nell’Unione Europea.
Le tensioni tra l’Unione europea e la Russia si sono acuite nelle scorse settimane quando Putin ha annunciato di voler fermare la costruzione del gasdotto Southstream che avrebbe consentito ai paesi dell’Europa meridionale (Bulgaria, Serbia, Ungheria, Slovenia, Austria e Italia) di ottenere il gas russo senza passare per la costosa mediazione dell’Ucraina. Nello spiegare l’abbandono del progetto, Putin ha puntato il dito contro la Bulgaria e l’Unione Europea, responsabili di aver bloccato l’avanzamento dei lavori. Non sappiamo di chi sia la colpa. E’ certo che tutto questo ha finito per rendere ancor più profonda la spaccatura tra Russia e Occidente.
Il 17 dicembre 1788, durante la guerra russo-turca, il generale Grigorij Alexsandrovič Potëmkin conquistò la fortezza ucraina di Očacov. Quella vittoria consentì alla Russia di mantenere la Crimea e di ottenere una fortezza che, situata in un punto strategico quale il lato destro della foce del Dnepr, venne espugnata grazie a un memorabile assedio che aveva ridotto alla fame gli occupanti turchi. Allora Kiev e la parte dell’Ucraina situata ad oriente del fiume Dnepr erano da più di un secolo sotto l’impero della grande Caterina e sarebbero rimaste russe fino alla prima guerra mondiale.
Crimea e Ucraina continuano ad essere terreno di contesa ma oggi è la Russia, per uno strano paradosso della storia, ad essere affamata dalle sanzioni occidentali.