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Una giornata di fine ‘800 in Galleria

In un  articolo pubblicato nel volume Vita milanese edito dalla casa editrice Vallardi in occasione dell’Esposizione Nazionale del 1881, lo scrittore Ferdinando Fontana (1850-1919) prendeva in esame la vita dei milanesi in quegli anni di fine Ottocento, quando la Città contava ormai – dopo la fusione con i Corpi Santi avvenuta nel 1873 – più di 320.000 abitanti. La popolazione era ancora concentrata in larghissima parte entro la cerchia dei Bastioni: 214.000 i milanesi del centro contro i 108.000 degli ex corposantini, segno che la costruzione dei nuovi quartieri residenziali nel vasto territorio oltre le mura non aveva raggiunto le dimensioni che avrebbe assunto a fine secolo e nel primo Novecento.

Nel 1878 il Comune istituì i nuovi corsi oltre le Mura: corso Loreto (poi Buenos Aires), corso XXII Marzo, corso Lodi, corso Sempione, corso Vercelli, corso Como, corso San Gottardo. Milano andava assumendo sempre più quell’anima dinamica, imprenditoriale, votata al progresso che conosciamo oggi. Nel 1877 i fratelli Bocconi aprirono Aux villes d’Italie (insegna ribattezzata nel 1880 “Alle città d’Italia): una boutique di tessuti e di abiti, situata in un grande edificio tra via Cattaneo e via Grossi, che è l’antenata della Rinascente. In quello stesso anno Enrico Forlanini realizzava il primo esperimento di elicottero a vapore effettuando il test vicino al Teatro alla Scala. Insomma, la Milano che celebrava l’Esposizione Nazionale del 1881 si presentava in rapida evoluzione.

Ferdinando Fontana era noto in quegli anni per la stesura di testi teatrali e per la collaborazione con alcune riviste in cui dimostrava la sua sensibilità per i problemi delle classi popolari.  Nella sua attività di librettista aveva lavorato nei primi anni Ottanta con il celebre compositore Giacomo Puccini.

Ferdinando Fontana (a sinistra) con Giacomo Puccini (da Wikipedia)

Nel campo della letteratura Fontana si poneva a metà strada tra gli Scapigliati e i Veristi. Scrisse alcune poesie in dialetto milanese, un genere che amò moltissimo: curò un’antologia storica di scritti poetici in dialetto locale (Antologia Meneghina, prima ed. 1891) e una raccolta di poesie del Porta tradotte in italiano. Il suo tratto distintivo fu la costante difesa delle classi popolari, sia di quelle lavoratrici sia delle fasce disagiate. A questo proposito varrà la pena ricordare una poesia scritta per un gruppo di muratori disoccupati in occasione del Natale del 1890: Bosinada don pover magutele. Anticlericale, si candidò al Consiglio Comunale di Milano nelle liste dei radicali in occasione delle elezioni del 1892 battendosi per la laicità delle istituzioni, per l’istruzione popolare e per l’abolizione del dazio consumo, una tassa comunale che gravava sui commercianti corposantini.

Questo accenno al profilo biografico di Fontana è importante per capire il contenuto dell’articolo scritto nel 1881. Vi troviamo la descrizione di alcuni luoghi di Milano i cui ambienti erano descritti prendendo in esame le diverse classi sociali che li popolavano nelle varie ore del giorno.

In questa sede desidero soffermarmi sulla Galleria Vittorio Emanuele. Il testo di Fontana è molto interessante perché vi traspare un racconto della vita quotidiana che già presenta venature “veriste”. All’alba e al primo mattino passeggiavano frettolosamente in Galleria artigiani, camerieri, cameriere, muratori, garzoni di falegnami o di fabbri; seguivano in tarda mattinata – verso le otto, le nove e le dieci di mattina – i traveti (gli impiegati) e le madamine, le ragazze di buona famiglia che amavano mettersi in mostra. Alle undici era la volta della classe più abbiente e facoltosa: tutta gente – scriveva Fontana – che fa colazione à la fourchette al Gnocchi, al Biffi, all’Accademia, al Martini. Nel pomeriggio la Galleria si animava grandemente, frequentata dalla nobiltà e dall’alta borghesia milanese che la rendeva un salotto in cui sfavillavano i vestiti e i gioielli indossati dalle dame di alto rango: una parata di abiti variopinti che accresceva il fasto della Galleria:

Dalle due alle cinque,e alle sei pomeridiane, la [la Galleria Vittorio Emanuele] si direbbe un gran salotto. Gli eleganti vi sfoggiano i loro abiti, usciti nuovi fiammanti dalle mani del Prandoni…o del Bencetti; le belle donnine (abbigliate con quel fine buon gusto con cui sanno vestire le signore milanesi) passano a centinaia attraverso siepi di ammiratori: c’è un momento, verso il crepuscolo, in cui tutto questo mondo elegante è al gran completo; poi si dissolve; tutti sono andati a pranzo: la Galleria resta quasi deserta per mezz’ora.

In quelle ore, quando il pomeriggio cede il passo alle prime ore della sera, ai nobili e ai ricchi borghesi succedeva una folla di turisti provenienti dalle città e dai paesi d’Italia e d’Europa, accorsi ad assistere allo spettacolo del rattin: un dispositivo meccanico quasi a forma di topo, assai avanzato per l’epoca, che provvedeva all’illuminazione della Galleria accendendo i becchi a gas che si trovavano sotto la cupola ottagonale.

Nel vasto ottagono restano immobili per parecchi minuti, talvolta per dei lunghi quarti d’ora, duecento o trecento persone, col naso al vento e gli occhi rivolti in su, in attesa del famoso rattin. E quando il rattin compare e procede all’adempimento della sua solita mansione vespertina, tutte le bocche si aprono in forma d’ovo, lasciando uscire un “Ah!” di beata meraviglia, così prolungato e sonoro, che la lunga Galleria ne echeggia.

Il maggiore affollamento di persone, appartenenti alle più svariate classi sociali avveniva nelle ore serali e notturne. Oltre ai turisti stranieri e italiani, si incontravano venditori di zolfanelli, di giornali, di libri dediti alla ricerca di potenziali clienti. Tutto questo, scriveva Fontana, fino alle dieci o alle undici di sera. Poi, progressivamente, il rumore e il chiasso si dileguavano. In Galleria era possibile incontrare piccoli gruppi di persone appena uscite dai vicini teatri: il Teatro alla Scala, ma anche il Teatro Manzoni che era stato aperto pochi anni prima, il 3 dicembre 1872, in piazza San Fedele nell’area in cui si trovava il Palazzo Imbonati.

Allora, cioè dalla mezzanotte all’alba, la Galleria assume un aspetto nuovo e interessantissimo; la vita non cessa, ma vi resta, si direbbe quasi, a fila, in incubazione; specialmente nelle notti di luna piena lo spettacolo è attraente: i raggi lunari, battendo sui vetri della vasta tettoia e della cupola, vi destano dei bagliori opalini che fanno sognare; senonché, a togliervi dalle fantasie sentimentali suggerite da quei bagliori, vi giunge il canto…di un ubbriaco fradicio, il quale barcolla sul mosaico sdrucciolevole, o la discussione animata di un gruppo di ritardatari … o lo stropiccio cadenzato dei passi del custode o di due guardie di questura, sorveglianti il sonno pubblico.

Base Milano: laboratori aperti anche d’estate

Durante la settimana della fiera del mobile, Milano si anima di eventi culturali allestiti nella cornice del Fuorisalone. Tra i quartieri presi d’assalto dai turisti vi è soprattutto il Tortona Design District, mèta tradizionale di tanti appassionati. Oggi bisogna riconoscere che la zona Tortona è divenuta stabilmente uno dei quartieri più vivaci della città; si respira una perenne atmosfera di novità, un po’ come se le luci del Fuorisalone non si fossero mai spente: la zona è una vera e propria fucina d’iniziative afferenti al mondo della cultura, del design, dell’editoria, della grafica.

Base Milano, in via Bergognone 34, è il centro di questo laboratorio creativo. Si tratta di una iniziativa che coinvolge enti pubblici e privati uniti nell’obiettivo di realizzare un progetto culturale e imprenditoriale che possa aiutare i giovani a formarsi le competenze in campo lavorativo.

Officine Ansaldo
L’ingresso delle ex Officine Ansaldo tra via Tortona e via Bergognone

La sede è in un grande edificio industriale dismesso, che reca ancora le tracce della Milano operaia del secolo scorso. Molti lo conoscono come l’antico centro delle Officine Ansaldo. In realtà la storia risale più indietro nel tempo. Nei primi anni del Novecento qui ebbero sede alcune imprese elettromeccaniche. Nel 1915 vi si stabilì la Società Elettrotecnica Galileo Ferraris, che costruì l’edificio d’ingresso in via Bergognone e la fronte imponente su via Tortona. Nel 1921 lo stabile passò alla CGE, un’azienda dedita alla costruzione di trasformatori elettrici: in questi anni fu accresciuto lo spazio della fabbrica, facendole assumere le dimensioni imponenti che si vedono oggi. Oltre al nuovo refettorio per gli operai, furono costruiti magazzini, officine, locali per il carico e lo scarico delle merci. Il collegamento con la vicina stazione di Porta Genova fu assicurato da una rete di binari che sono tuttora visibili all’ingresso.

L’Ansaldo arrivò solo nel 1966: gli edifici di via Bergognone/via Tortona furono il centro della sua attività fino agli anni Ottanta, quando si procedette alla progressiva dismissione. L’edificio, acquistato nel 1989 dal Comune di Milano per destinarne gli spazi a un riuso con finalità culturali, venne ristrutturato negli anni Duemila dall’architetto David Chipperfield. Il restauro conservativo si è accompagnato alla costruzione di un nuovo edificio oggi sede del Mudec, il Museo delle Culture.Gli antichi capannoni ed edifici industriali, ristrutturati da Chipperfield, sono divenuti il centro di attività formative e culturali che spiegano la rinascita del quartiere che si è accennata all’inizio. In uno degli ex magazzini hanno sede dal 2001 i famosi laboratori del Teatro alla Scala.

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Una delle sale per i clienti dell’Ostello Base Milano che verrà aperto a fine settembre

La parte più innovativa è concentrata tuttavia nell’ala dell’edificio che si affaccia verso via Tortona, ove ha sede il Base Milano: un’iniziativa, finanziata da Fondazione Cariplo, sostenuta dal Comune di Milano, alla cui base è la valorizzazione di un ampio spazio industriale che è divenuto un laboratorio di formazione creativa rivolto ai giovani. In questo enorme stabile – 6.000 metri quadrati – hanno sede laboratori, un bar, una lounge, aree per mostre ed eventi temporanei. Ai piani superiori, oltre a spazi di co-working (tra le aziende che ci lavorano: Wikimedia, Reply Spark), verrà aperto entro la fine di settembre un ostello ove turisti, studenti o lavoratori potranno alloggiare fruendo di ambienti arredati con gusti raffinati che rinviano alla storia dell’interior design.

BASE1Le attività formative e lavorative messe in campo da Base Milano sono il vero tratto caratterizzante di questo progetto (per informazioni: vai su Campobase Base Milano). Meritano di essere segnalate le iniziative messe in campo per l’estate: associazioni culturali e aziende del settore radicate nel milanese organizzano lezioni e laboratori che si articolano lungo cinque assi tematici: Making&Produzione, Sport&Green, Grafica&Fotografia, Creatività&Formazione, Outdoor&Food. Chi desidera acquisire una formazione nel campo della tipografia, della fotografia, della falegnameria, può iscriversi ai corsi di Base Milano, i cui costi variano a seconda del tipo di attività messe in calendario.  Sono inoltre allestiti corsi di yoga e gite in bicicletta dedicate alla scoperta del quartiere. Per gli studenti che restano in città nei mesi estivi, è disponibile un’aula studio aperta dalle 9.30 alle 23, dal martedì alla domenica.

Insomma, nell’entrare in questo antico edificio industriale dalla mole imponente si ha l’impressione di trovarsi in uno spazio originale in cui lavoratori, studenti e tanti operatori della cultura si incontrano condividendo le loro esperienze. Nello spiazzo interno, circondato dagli antichi capannoni industriali, tanti giovani si confrontano ansiosi di mettersi alla prova, di partecipare ai corsi di formazione, ai workshop organizzati da enti e associazioni quali – per citarne solo alcune – Leftover/Studio427, Playwood, Wemake, Opendot,  Wonder Way, Bici&Radici, Tipografia Reali, ABiCiDi Tipografia, Livello7, Associazione Polifemo.

Non è tutto. In vista del Milano Film Festival che si svolgerà a Base Milano e nel quartiere Tortona dall’8 al 18 settembre, gli organizzatori stanno già lavorando nelle aree di co-working per preparare il cartellone degli eventi che si annuncia ricco di sorprese.

Un monumento all’Italia: la Galleria Vittorio Emanuele

La Galleria Vittorio Emanuele è senza dubbio uno dei monumenti più caratteristici di Milano. E’ considerata il Salotto della città. I turisti restano estasiati dalla sua architettura e dalle prestigiose boutique che si aprono al suo interno. La Galleria, i cui lavori erano iniziati il 7 marzo 1865, fu inaugurata il 15 settembre 1867 alla presenza del Re. L’architetto Giuseppe Mengoni, che aveva diretto i cantieri, morì dieci anni dopo, il 30 settembre 1877, precipitando da un ponteggio mentre tentava di ultimare l’arco verso piazza del Duomo: uno dei casi più famosi di morte sul lavoro.

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Giuseppe Mengoni

Come ho ricordato in un articolo di qualche mese fa, non era la prima volta che Milano si arricchiva di un passaggio coperto: la Galleria De Cristoforis, che collegava corso Vittorio Emanuele con via Monte Napoleone, costituì per alcuni decenni un luogo importante di socialità cittadina. Non presentava tuttavia una veste grandiosa.

La nuova Galleria fu qualcosa di diverso. Finanziata dal consiglio comunale, che ne affidò i lavori alla società inglese City of Milan Improvements Company, essa rappresentò nelle sue dimensioni imponenti, nei temi delle decorazioni, l’emblema dell’Italia risorta, gemma preziosa dello Stato nazionale monarchico. Giuseppe Verdi in una lettera scritta a un amico francese nel 1868, non nascondeva la sua ammirazione per questo ardito passaggio vetrato che collegava piazza del Duomo con piazza della Scala:

La nuova Galleria è proprio un cosa bella: un’opera artistica, monumentale. Nel nostro paese c’è ancora il senso del Grande congiunto al Bello.

IMG_6762Alla sua apertura la Galleria ospitava novantasei negozi, un numero certamente rilevante se consideriamo che la Galleria De Cristoforis ne aveva allora una settantina. I caffè rivestivano un ruolo significativo nella vita sociale dei milanesi in Galleria. Chi fosse entrato a fine Ottocento da piazza del Duomo, avrebbe trovato sulla destra il celebre Caffè Campari gestito da Gaspare Campari. Giunto a Milano nel 1863 dopo aver lavorato a Torino e a Novara, Campari fece fortuna con i celebri liquori: il Fernet e il Bitter all’uso d’Olanda come si diceva a quel tempo (oggi conosciuto come Bitter Campari). Nel 1915, anno dell’ingresso dell’Italia nella Grande Guerra, Campari aprì un altro caffè sul lato opposto che dava sempre verso piazza del Duomo. Oggi questo spazio, tuttora adibito a caffé (nonché ristorante al piano superiore) non è più di Campari ma conserva il prezioso  bancone che gli antichi proprietari avevano fatto costruire in stile art nouveau.

Un altro caffè storico era quello aperto da Paolo Biffi nel 1867 al centro dell’Ottagono, nei locali in cui oggi si trovano gli stupendi negozi di Prada. Le vetrine di Biffi, che si era distinto per la produzione di panettoni artigianali, si estendevano lungo il braccio della Galleria verso via Ugo Foscolo.

Sul lato opposto si trovava una sede secondaria del caffè Gnocchi di Galleria De Cristoforis. Poi la proprietà passò alla Birreria Stocker, i cui gestori garantivano ai clienti la calda accoglienza di avvenenti cameriere in abito tirolese. Nel 1885 la proprietà fu acquistata da Virginio Savini, che ne fece la sede del suo celebre caffè frequentato dagli artisti del vicino teatro Manzoni. Dalla metà del secolo scorso il Savini divenne, com’è fin troppo noto, il centro della vita mondana: nelle sale lussuose di questo ristorante si ritrovavano politici, banchieri, intellettuali importanti nella storia nazionale.

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Il Ristorante Gambrinus – Gambrinus Halle in una immagine pubblicata nei primi anni del Novecento

Non possiamo chiudere questa rassegna sugli antichi ristoranti senza citare il secondo locale che Baldassarre Gnocchi aprì in galleria negli spazi ove oggi si trova la libreria Rizzoli. Si trattava di un caffé di notevole grandezza che acquisì una certa fama nella Milano di fine Ottocento: vi si tenevano regolarmente concerti ad opera di una solerte orchestra di signore viennesi.  L’atmosfera filotedesca – e più in generale filo germanica – che vi si respirava era certamente il risultato della politica conservatrice che il governo italiano seguì in quegli anni mediante la firma dei trattati della Triplice Alleanza con gli Imperi centrali (Impero germanico e Impero austro-ungarico). Una politica che recò i suoi frutti anche sul piano economico. Ricordiamo che a Milano furono istituite, grazie al contributo determinante di capitali tedeschi, le due più importanti banche del Paese: la Banca Commerciale Italiana (1894) e il Credito Italiano (1895) le cui sedi si trovavano a pochi passi dalla Galleria.

Tornando al ristorante Gnocchi, senza l’aiuto della casa  tedesca Siemens&Halsk esso non sarebbe certo riuscito ad illuminare i suoi locali con la luce elettrica, il 21 agosto 1880: fu un evento memorabile nella storia cittadina. Esso anticipava di alcuni anni l’illuminazione elettrica, che in città sarebbe stata possibile solo alcuni anni dopo grazie all’apertura della centrale Edison nella vicina via Santa Radegonda. Assunto nel 1882 il nome di Birreria Gambrinus, il ristorante Gnocchi continuò ad operare con tale denominazione fino all’entrata in guerra dell’Italia, nel 1915. A seguito delle campagne nazionaliste antitedesche,  le autorità obbligarono i gestori a chiamarlo “Grand’Italia”.

Se prendiamo in esame alcuni diari scritti da turisti stranieri in visita a Milano nella prima metà del Novecento, ci accorgiamo che il pubblico della Galleria era alquanto variegato. Del tutto indicative le riflessioni scritte nel 1923 dallo scrittore spagnolo Vicente Blasco Ibanez (1867-1928), che si soffermava sui tanti giovani artisti che puntavano sulla Galleria per incontrare un impresario che potesse fare la loro fortuna. La vicinanza al Teatro alla Scala sembrerebbe aver segnato l’identità del celebre edificio:

Vicente Blasco Ibanez
Vicente Blasco Ibanez

Qui si trattengono, mangiando maccheroni nelle trattorie a buon mercato, e aspettando il momento in cui il mondo farà loro giustizia cospargendo di milioni la strada della loro vita, tutte le reclute e i riservisti dell’arte musicale, gente infelice e degna di pietà che si prepara ad entrare nel tempio della gloria cantando per cinque o sei lire in qualunque teatrino municipale del “Milanesado”. Questo soltanto perché qualche giornale di infimo ordine scriva qualcosa su di loro così da poter inviare il ritaglio alla famiglia e agli amici, e convincerli dei grandi successi che ottengono nel paese dell’arte.

Qui ci sono anche i veterani, quelli che, dopo aver fatto la gioia di tutta una generazione in qualunque capitale d’Europa, mettono mano ai loro risparmi, e quelli che, più imprevidenti, debbono dedicarsi, in vecchiaia, a penose occupazioni per liberarsi dalla miseria, dopo aver trascinato sete e velluti sui palcoscenici e aver ricevuto deliranti ovazioni.

Non si può vivere a Milano senza imbattersi, ad ogni istante, nell’artista veterano, nel novellino o nell’audace che tira dritto, fresco come una rosa, di insuccesso in insuccesso e di fischiata in fischiata.

Trent’anni dopo, il quadro sembrava completamente mutato. Nelle brevi note scritte nel 1964 da Henry Vollan Morton (1892-1979), la Galleria assumeva le caratteristiche di un ambiente magico, staccato dalla convulsa vita cittadina dominata dal traffico e dalla frenesia lavorativa; ritrovo prediletto per innamorati, donne avvenenti, ricchi banchieri e politicanti.

Henry Vollan Morton
Henry Vollan Morton

La Galleria mi parve la moderna versione di un Foro romano. Non c’era il traffico viario, la gente poteva a suo piacimento fare acquisti, passeggiare, pettegolare o leggere le ultime notizie del mercato finanziario. Erano presenti tutte le figure tipiche dell’antico foro: gli innamorati che si incontravano nel luogo stabilito per l’appuntamento, i politicanti con l’ultima edizione del Corriere della Sera, le signore alla moda, i ricconi con la loro corte e perfino, come dubitarne, i seccatori! In Galleria non mi annoiavo di certo: là gli esseri umani, lontani dal fragore e dalla confusione del traffico, si pavoneggiavano come su una ribalta dove tutti sono, ad un tempo, attori e spettatori.