Come anticipato nell’articolo precedente, dedico questo breve intervento a quella che possiamo considerare la seconda antenata di Expo: l’Esposizione Internazionale del 1906.
Qual era la situazione di Milano al principio del Novecento? In fondo, il periodo compreso tra l’Esposizione del 1881 e quella del 1906 fu caratterizzato da un profondo mutamento urbanistico; tale mutamento investì i quartieri del centro, abbandonati progressivamente dalle classi popolari per divenire spazi esclusivi ove operavano le maggiori istituzioni finanziarie e civili del paese. Inoltre, in questo periodo il centro divenne residenza di una ricca borghesia industriale che subentrò in molti casi alla nobiltà cittadina nella proprietà di palazzi prestigiosi a due passi dal Duomo.
Il mutamento più significativo investì però il complesso della popolazione milanese. Nel giro di quarant’anni la città raddoppiò gli abitanti: nel 1861 Milano contava 242.869 cittadini, nel 1901 erano divenuti 491.460. Nuovi quartieri sorsero a fine Ottocento. Intere zone vennero ridisegnate. In una città che andava lentamente trasformandosi nella metropoli moderna che noi conosciamo, l’Esposizione del 1906 ebbe un significato cruciale, collegandosi al tema del progresso nel campo dei trasporti. Non fu un caso se l’evento venne allestito in concomitanza con l’apertura del traforo del Sempione, avvenuta il primo giugno di quell’anno.
L’Esposizione, tenutasi dal 28 aprile all’11 novembre, si collega assai bene con Expo 2015 per il suo carattere internazionale: vi parteciparono 40 Paesi, i cui padiglioni vennero sistemati in due zone corrispondenti pressappoco all’attuale parco Sempione e all’ex piazza d’armi ove, a partire dal 1923, sarebbe stata costituita la Fiera. Una ferrovia sopraelevata consentiva il libero accesso dei visitatori alle due aree. Il sito si estendeva su una superficie di un milione di metri quadrati. I padiglioni furono 225. I visitatori raggiunsero la soglia dei 5 milioni e mezzo.
Se guardiamo al principio guida che ispirò gli organizzatori, ravvisiamo però una differenza rispetto all’Esposizione del 1881. Più che una rassegna dei prodotti più avanzati nel campo dell’industria, l’esposizione novecentesca rivelò un’attenzione alle ricadute sociali del moderno lavoro di fabbrica. Il benessere e la sicurezza dei lavoratori erano in quegli anni un tema centrale delle politiche condotte dai governi europei.
Del tutto indicativo, a tal proposito, il padiglione “Galleria del Lavoro” ove era possibile assistere al “lavoro in azione”, come ricordavano i documenti dell’epoca. La condizione degli operai italiani era migliorata rispetto a fine Ottocento. Gli storici hanno dimostrato che tra il 1901 e il 1913 i salari erano cresciuti del 26%, mentre il reddito era aumentato del 17%. Un operaio specializzato poteva guadagnare fino a 5 lire giornaliere. In un giornale del 1912 si leggeva: “L’operaio moderno non è più quello di un tempo poiché ama le proprie comodità, non abita più in un tugurio indecente, veste più pulito, ha la bicicletta, compera il giornale”. Si trattava di una rivista pubblicata dall’associazione dei tipografi, che a quel tempo erano gli operai meglio pagati della città. La situazione descritta nel giornale era fin troppo ottimistica e non valeva certamente per la maggioranza dei lavoratori che versavano in estrema povertà. Come testimoniavano le inchieste della Società Umanitaria, gli operai non potevano contare su un’alimentazione adeguata ai ritmi di lavoro. Persone che lavoravano dieci ore al giorno mangiavano cibo carente di proteine e non potevano permettersi il consumo di carne.
Tornando all’Esposizione del 1906, il contributo degli industriali milanesi fu notevole. Nel Comitato organizzativo troviamo ad esempio Giovanni Silvestri (1858-1940). Il padre aveva assunto un ruolo di primo piano alla Comi Grandoni e C, poi divenuta Miani e Silvestri. Giovanni proseguì l’attività paterna: presidente del Consiglio di amministrazione, rivestì tale carica anche negli anni successivi, quando l’azienda si trasformò nelle celebri “Officine Meccaniche” (O.M.) i cui stabilimenti, situati fuori Porta Vigentina, erano attivi nel comparto ferroviario producendo carrozze, vagoni, locomotive, rotaie. Inoltre la fabbrica O.M. si fece conoscere per aver realizzato i primi esemplari di automobile, un’attività che le avrebbe procurato una certa fama nei primi decenni del Novecento.
Un’altra personalità che fece di tutto per assicurare il successo all’Esposizione del 1906 fu il sindaco Ettore Ponti, figlio dell’industriale tessile Andrea, titolare del Canapificio e Linificio Nazionale. Uomo moderato, colto, di specchiata onestà, animato da un sentimento di sincero amore per la cittadinanza, Ponti preparò con cura l’evento lavorando attentamente alla disposizione dei padiglioni. Questo sindaco liberale va ricordato per tante altre opere a sostegno di Milano. A lui dobbiamo il primo piano regolatore elaborato in funzione di una metropoli quale Milano si avviava a divenire. Il sindaco fondò un ente per la costruzione delle case popolari affinché i tanti cittadini giunti a Milano per ragioni di lavoro potessero trovare una sistemazione nel territorio del comune; Ponti realizzò per primo la pavimentazione delle strade utilizzando il catrame per la copertura dei marciapiedi; costituì l’Azienda elettrica municipale (AEM) perché le case dei milanesi potessero essere illuminate in linea con gli standard più avanzati all’epoca. Introdusse i taxi a Milano, fondò la Biblioteca Civica. Nel corso di un ricevimento organizzato nella sua casa di via Bigli, il Ponti venne insignito del titolo di “marchese” dal re Vittorio Emanuele III, che volle in tal modo premiare l’impegno straordinario profuso dal sindaco nell’allestimento dell’Esposizione internazionale.