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I fondamenti del vero federalismo secondo Gianfranco Miglio

Questo articolo è uscito sul quotidiano online L’Indipendenza

Quali sono per Gianfranco Miglio i fondamenti di un vero regime federale? Nell’introduzione al volume Federalismi falsi e degenerati (Milano, Sperling&Kupfer 1997), Miglio elencava con grande chiarezza i pilastri su cui deve poggiare un regime fondato su un patto costituzionale in grado di salvaguardare e conciliare l’irriducibile diversità dei territori. Le vere Costituzioni federali sono quelle in cui:
“a) il federalismo è interno al sistema politico e ne costituisce l’asse portante”.
In tutti i sedicenti sistemi “federali” (Germania, Stati Uniti) o quasi “federali” è la prima Camera a rivestire un ruolo politico decisivo nella legislazione e – nei regimi parlamentari – a controllare il governo dandogli o togliendogli la fiducia. La Camera dei rappresentanti statunitense, il Bundestag tedesco sono collegi in cui dominano i grandi partiti “nazionali”, in cui i parlamentari sono eletti direttamente dal “popolo sovrano”. Quelli per Miglio erano falsi sistemi federali perché il federalismo tende ad essere confinato in una seconda camera (Bundesrat in Germania, Senato negli Stati Uniti) che ha uno scarso potere di controllo nei confronti del governo centrale. Se il federalismo deve essere l’asse portante del sistema, questo significa che per Miglio la Camera politica, quella in grado di controllare il governo federale deve essere l’assemblea in cui siedono i rappresentanti delle maggiori Comunità territoriali in cui si articola la Federazione. Nel modello costituzionale di Miglio l’Assemblea federale sarebbe formata dalla riunione periodica delle Diete (Parlamenti) delle tre Repubbliche i cui membri verrebbero eletti dalle rispettive popolazioni: 100 deputati dalla Padania, 100 dal Centro Italia, 100 dal Mezzogiorno. A questi 300 deputati si aggiungono i delegati dei Consigli delle 5 Regioni a Statuto speciale: 15 deputati siciliani, 10 sardi, 10 friulani, 6 dal Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, 5 dalla Valle d’Aosta. In tutto 346 deputati con un taglio di 284 parlamentari rispetto ai 630 del nostro ordinamento.


“b) i poteri di governo e amministrazione sono distribuiti (e costituzionalmente garantiti) su almeno due livelli territoriali: Cantoni e Federazione.
La netta separazione di funzioni tra potere centrale e poteri locali era basilare per Miglio. Questo non accade nei falsi federalismi che si sono accennati. Ad esempio la Costituzione tedesca, quantunque stabilisca una separazione di funzioni tra Bund e Länder, non è stata in grado di evitare il netto prevalere dello Stato centrale nella legislazione e – in diversi casi – nella stessa amministrazione, un intervento reso necessario in Germania per assicurare su tutto il territorio i livelli di prestazioni pubbliche dello Stato sociale. Ma lo Stato sociale, scriveva Miglio, “è un sottoprodotto dello Stato unitario e centralizzato di grandi dimensioni” perchè legato a governi che dispongono di ingenti risorse finanziarie. “La falsa idea di trovarsi davanti ‘un corno dell’abbondanza’ di cui non si vede mai la fine, è infatti il fondamento delle politiche di scambio di favori e privilegi, contro sicurezza elettorale e permanenza della classe politica al potere”.
In Germania la revisione costituzionale del 1969 ha fissato i Gemeinschaftsaufgaben, i compiti comuni che, soprattutto in materia finanziaria, hanno finito per amputare l’autonomia dei territori facendo saltare l’originaria coerenza dell’ordinamento tedesco basato sulla divisione di competenze tra Bund e Länder. Una realtà ben presente a Miglio che scriveva: “Se l’equilibrio fra gli almeno due livelli di potere non è solidamente garantito – anche e soprattutto nei confronti degli Stati o Cantoni –  è fatale che chi detiene il potere centrale (federale) tenda ad allargarlo fino ad assorbire le prerogative dell’altro livello o a ridurlo a un significato puramente formale. Così deperiscono (e muoiono) le Costituzioni federali. Il maggior problema tecnico di queste ultime è rappresentato dalla necessità di stabilire espedienti i quali rendano molto difficile ai cittadini degli Stati o Cantoni di rinunciare alle loro prerogative. Perciò il miglior presidio di un ordinamento federale sta nella determinazione con cui il popolo è deciso a resistere contro le intimidazioni e, soprattutto, le suasioni dell’autorità centrale” (Federalismi falsi e degenerati, pp.XIV-XV).


“c) I Cantoni hanno dimensioni tali da poter assolvere la parte principale dell’attività governamentale, resistendo altresì all’eventuale potere di assorbimento dell’autorità federale”.
Le tre macroregioni (Nord, Centro, Sud) fissate dal professore nel Decalogo di Assago presentato nel dicembre 1993 sono individuate in base a criteri etno-linguistici, geo-economici e soprattutto funzionali. Miglio era convinto che non si potesse costruire un vero ordinamento federale partendo dalle venti Regioni attuali. Nel Modello di Costituzione federale per gli italiani scriveva: “Se si creasse una Federazione fra le 20 attuali Regioni, alcune di queste (le più grandi e forti) prenderebbero il volo, e controbilancerebbero validamente l’autorità federale; mentre le più piccole e più deboli, incapaci di assolvere i compiti loro attribuiti, si getterebbero tra le braccia proprio dei poteri federali. Il risultato finale sarebbe quello di una Repubblica squilibrata e dilacerata, e di una restaurazione a furor di popolo del governo centralizzato”. Previsione a un passo dal verificarsi se si pensa alle riforme costituzionali elaborate dal centro-destra (Lega Nord inclusa) e dal centro-sinistra.
“d) Tutte le regole che disciplinano il funzionamento del sistema sono ispirate al principio del contratto (negoziato) e della maggioranza qualificata”.
Il principio della maggioranza semplice, in una repubblica federale in cui vivono popolazioni diverse per storia, costumi, tradizioni, è una violenza intollerabile perché attenta i diritti delle minoranze. Nel volume Federalismo e Secessione (Milano, Mondadori 1997, pp.118-122) il professore rivolgeva una critica radicale al principio di maggioranza: “Cosa ha di più saggio la metà più uno degli uomini? Come si può accettare un criterio tanto rozzo, fondato in definitiva su quell’uno, cioé su di un numero talvolta piccolissimo, in una divisione del mondo nella quale da una parte vi è la metà, che soccombe, e dall’altra la metà più uno che vince? Quell’uno finisce per diventare l’arbitro, il signore della Comunità”. Il principio del contratto, tipico del diritto privato – in base al quale i territori decidono su un piano di parità, sforzandosi di convincere le controparti per raggiungere una mediazione che possa garantire le ragioni di ciascuno – è cosa ben diversa dalla legge o dal regolamento approvato a maggioranza semplice. Ogni atto giuridico dovrebbe essere il prodotto di un negoziato tra le parti. Questo spiega per quale motivo, nel modello di costituzione federale redatto da Miglio il governo è non solo direttoriale –  composto dai governatori delle maggiori Comunità in cui si compone la Federazione – ma esercita le sue funzioni secondo la regola della maggioranza qualificata. “Stabilirei come regola generale la maggioranza dei due terzi e, nel caso in cui non si raggiunga, richiederei il sorteggio. Si presuppone che una scelta condivisa da una larga maggioranza sia ‘più vera’ di quella condivisa soltanto da una minoranza, perché se riduciamo la minoranza ad un terzo o ad un quarto è evidente che esiste una qualche giustificazione al fatto che l’opinione dei pochi, eventualmente dei pochissimi, sia messa da parte” (Federalismo e Secessione, pag122). Il professore proponeva addirittura che il Direttorio federale approvasse all’unanimità materie cruciali quali l’introduzione di nuovi tributi a livello federale, il sostegno economico alle aree svantaggiatate, la legge di bilancio. Il ridotto numero dei membri che compongono il Direttorio (nel suo progetto non più di cinque o sei persone) renderebbe assai facile il raggiungimento dell’accordo in tempi certi e ridotti. Il professore aveva infatti abbozzato una regola d’oro che nel suo modello era in grado di garantire la governabilità: egli lasciava al Direttorio federale otto giorni di tempo per approvare un provvedimento, un Regolamento o un Decreto oggetto di controversie, al termine dei quali sarebbe scattata la “procedura di emergenza”: se entro una settimana il governo non fosse pervenuto a una decisione, i membri sarebbero decaduti dall’incarico e non avrebbero potuto ripresentarsi agli elettori per due legislature. “La minaccia efficace di togliere ai politici la poltrona su cui siedono – diceva nel presentare il suo modello – è un ottimo strumento per farli andare d’accordo nell’interesse del Paese!”.
“e) La Costituzione contiene procedure che rendano sempre certa e rapida la decisione degli affari di governo: per esempio la presenza di un Presidente coordinatore del Direttorio, eletto da tutti i cittadini della Federazione”.

Qui Miglio mostrava di accettare il presidenzialismo: pensava a un Presidente federale eletto direttamente dai cittadini, erede in parte delle funzioni esercitate oggi dal Capo dello Stato e dal Presidente del Consiglio. Il Presidente federale avrebbe nominato i ministri, che per entrare in carica avrebbero dovuto godere della fiducia del Direttorio. Un Presidente federale “ingabbiato” nel Direttorio. E’ precisamente quest’ultimo il vero e unico governo della Confederazione: composto, oltre che dal Presidente federale, dai Governatori dei tre Cantoni (eletti direttamente dalle rispettive popolazioni) e da un Presidente (a turno annuale) di Regione a Statuto Speciale.

“f) La struttura fiscale, coordinata dal Direttorio federale, poggia su due livelli: municipale e cantonale”. Come si vede, un principio completamente estraneo al “federalismo fiscale” italiano, che assegna allo Stato centrale la completa gestione delle imposte (dirette e indirette).

Le tre Repubbliche di Miglio

Questo articolo è uscito sul quotidiano online L’Indipendenza.

Il modello di Costituzione federale elaborato da Gianfranco Miglio prevede una riscrittura della Costituzione che riguarderebbe non solo la seconda parte, ma anche numerosi articoli contenuti nella prima parte e nei principi fondamentali. La stragrande maggioranza dei costituzionalisti ritiene che i primi articoli della Costituzione italiana siano intoccabili. Il professore comasco non era per nulla d’accordo: ho ascoltato tempo fa la registrazione di un’intervista del 1994 in cui sosteneva che la Carta del ’48 era rivoltabile come un calzino. A suo giudizio, l’unico articolo che non poteva essere modificato era il 139, ove è scritto esplicitamente che “la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale”. Naturale quindi che per Miglio fosse del tutto insensata una riforma limitata alla seconda parte della Carta, come invece ci propongono tutti i partiti italiani, dal centrodestra al centrosinistra compreso il Presidente della Repubblica. No, direbbe oggi il professore: “Le vere Costituzioni federali o sono tali o non lo sono”.
Ma veniamo al modello costituzionale elaborato da Miglio. Presentato al Congresso della Lega Lombarda tenuto Assago nel 1993, venne perfezionato e parzialmente modificato nelle pubblicazioni apparse negli anni successivi: il Modello di Costituzione federale per gli italiani uscito nel 1995, la prima edizione dell’Asino di Buridano (1999) e la seconda edizione del 2000.


I Principi fondamentali della Costituzione federale proposta da Miglio
Quali sarebbero i Principi fondamentali su cui dovrebbe poggiare la Repubblica federale italiana? Come andrebbe modificato ad esempio l’articolo quinto che oggi sancisce l’unità e l’indivisibilità dello Stato unitario?
Nell’Asino di Buridano il professore dava un’indicazione precisa:
“1. L’Italia è una Repubblica, radicata nei Municipi, e fondata su di un patto di unione fra le comunità naturali in cui i cittadini si articolano. La Repubblica è formata da quindici Regioni, raggruppate in tre Comunità regionali – Nord, Centro e Sud – e dalle cinque Regioni a Statuto Speciale, che hanno dignità di Comunità regionale, e possono adottare, nel loro Statuto, le istituzioni e le procedure previste per le Comunità regionali.
2. Il potere di decidere – sul piano legislativo, governamentale ed amministrativo – appartiene al popolo, il quale lo esercita o per mezzo dei suoi rappresentanti oppure direttamente (referendum). Una legge costituzionale definisce le forme di referendum, i “quorum” necessari, e le procedure che ne regolano lo svolgimento nelle diverse aree della Repubblica.
3. La Costituzione riconosce e garantisce i diritti individuali dell’uomo e stabilisce i doveri del cittadino. Nessun vincolo è posto alla circolazione ed all’attività dei cittadini sul territorio della Repubblica: tale libertà può essere limitata solo per motivi penali. La Costituzione garantisce le quattro fondamentali libertà europee: circolazione delle persone, dei capitali, delle merci e dei servizi. La libertà d’impresa è un diritto costituzionale”. (L’Asino di Buridano, Vicenza, Neri Pozza, 1999, pp.79-80).

Le tre Italie

I soggetti del patto federale coincidono in larga parte con le patrie etno-linguistiche o addirittura – è il caso del Sud Italia –  con antichi Stati preunitari. Nei progetti pubblicati nel corso degli anni cambiano i nomi delle comunità territoriali in cui dovrebbe articolarsi la Confederazione italiana: Repubbliche nel 1993, Cantoni nel 1995, Comunità regionali – come si è appena visto – nel 1999 e 2000. L’impianto del modello resta in larga parte immutato.
La Comunità regionale del Nord coincide con la Padania (Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna) ove sono parlate le lingue padane gallo-italiche e venete; la Comunità regionale del Centro corrisponde in gran parte all’area ove sono parlate le lingue dell’italiano centrale o mediano (Marche, Umbria, Lazio e Toscana); la Comunità regionale del Sud Italia (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria) coincide con l’antico Regno di Napoli, territorio in cui sono parlate le lingue italiane meridionali.
Le cinque Regioni a Statuto speciale (Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige/Sud Tirol, Friuli Venezia Giulia) vengono riconosciute nella loro peculiare identità, rese completamente autonome come avverrebbe per le tre Comunità regionali: istituzioni pienamente responsabili in materia di tassazione e imposte, non più dipendenti dai trasferimenti dello Stato centrale.
Miglio scriveva nel Modello di Costituzione federale per gli italiani (1995):
“Comunque si rigirino le cose, i Cantoni della Federazione devono essere formati dalle quindici Regioni a statuto ordinario, che già vengono abitualmente raggruppate a fini statistici e geo-economici (ma anche dal linguaggio quotidiano) – in tre aree: la Valle padana (Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna), l’Italia centrale (Toscana, Umbria, Lazio, Marche) e l’Italia meridionale (Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata, Calabria), unificate ciascuna da una innegabile omogeneità storico culturale”.
Le Regioni e i Municipi
Le Regioni non spariscono nel modello di Miglio. Il governo di ciascuna Repubblica (o Cantone o Comunità regionale a seconda delle varie fonti) è direttoriale: composto da un Governatore, eletto dai cittadini, e dai Presidenti delle Regioni comprese entro ciascuna Repubblica italiana. Scriveva nel Modello:
“Le Regioni non scompaiono affatto: perché il Cantone è in fondo, alle sue origini, un ‘consorzio di Regioni’ e il Cantone governa e amministra per mezzo delle Regioni i cui vertici costituiscono il governo del Cantone stesso. Ognuna delle quindici Regioni a Statuto ordinario potrà darsi la struttura interna e la legge elettorale che i suoi cittadini preferiscono. Però ognuna di esse deve culminare con un Presidente eletto direttamente dal popolo: perché i Presidenti delle Regioni comprese nel Cantone devono formare il Direttorio (governo) del Cantone stesso, guidato da un Governatore, eletto anch’esso da tutti i cittadini”. Le Province, inutili e costose per Miglio, vengono soppresse.


E i Municipi? La loro autonomia sarebbe pienamente riconosciuta in Costituzione, non prima di aver compiuto un accorpamento degli enti più piccoli mediante apposite Federazioni di Comuni composte da 15.000 abitanti:  “La scienza dell’amministrazione colloca a 15.000 il punto critico al di sotto e al di sopra del quale si alterano i valori di efficienza e partecipazione di un Comune” (Federalismo e Secessione, Milano, Sperling&Kupfer 1997, pag.105). Il professore non escludeva inoltre un controllo degli enti superiori nei confronti dell’ente comunale: “Secondo me i Comuni devono avere la possibilità di fissare le tasse, ma ritengo sia necessario porre un limite alla loro disponibilità. Faccio un esempio: supponiamo che, per sfrenata passione calcistica, un Comune stabilisca una inostenibile imposizione fiscale per costruire uno stadio fuori da ogni logica. Se anche la popolazione si dimostrasse entusiasta per il progetto e per un simile sperpero di denaro, questo dovrebbe essere impedito da un controllo cantonale” (Federalismo e Secessione, pag.103).
Il grado d’intervento dei Municipi nell’amministrazione del Cantone e della Confederazione nelle materie della politica ambientale, delle comunicazioni e dell’urbanistica era tuttavia notevole nel suo progetto. I Sindaci avrebbero composto le Consulte municipali. Nell’Asino di Buridano (1999) Miglio descriveva dettagliatamente la composizione e le funzioni delle Consulte municipali:
“Presso ogni Direttorio di Comunità regionale è costituita una Consulta municipale comunitaria formata da 30 Sindaci eletti da tutti i Sindaci della Comunità in ragione di 15 rappresentanti dei Comuni fino a 10.000 abitanti, 10 rappresentanti dei Comuni da 10.000 a 25.000 abitanti, 5 rappresentati dei Comuni con più di 25.000 abitanti.
Presso il Direttorio federale è costituita una Consulta municipale federale formata da 30 Sindaci eletti da tutti i Sindaci della Repubblica in ragione di 20 rappresentanti dei Comuni che abbiano fino a 100.000 abitanti, e 10 rappresentanti dei Comuni che abbiano più di 100.000 abitanti. I Sindaci dei Comuni i quali abbiano più di un milione di abitanti fanno parte di diritto della Consulta municipale federale”.
La procedura con cui le Consulte avrebbero espresso i loro pareri ai diversi livelli di governo (cantonali e federali) lascia trasparire il ruolo incisivo dei Municipi nel modello elaborato dal professore: “Il parere espresso da una Consulta municipale con una maggioranza dei due terzi dei componenti è vincolante per il rispettivo organo di governo presso il quale la Consulta è costituita”.

Gli esiti di una riforma costituzionale ispirata al modello di Gianfranco Miglio

Nel complesso le riforme proposte dal professore nel Modello di Costituzione federale contengono notevoli punti di forza. La nuova Costituzione presenterebbe:
–          una maggiore stabilità istituzionale con un governo di legislatura sciolto dal vincolo di maggioranza (forma di governo non parlamentare);
–          la separazione delle funzioni: chi ricopre cariche pubbliche negli organi rappresentativi (Consiglio comunale, Consiglio regionale, Dieta di una delle tre Repubbliche-Assemblea federale) non potrebbe esercitare funzioni amministrative o di governo (Sindaco, Governatore di Regione, Governatore di una delle tre Repubbliche, Presidente di una delle cinque Regioni a Statuto speciale, Presidente federale, Segretario di Stato): in tal modo si formerebbe nel tempo una classe politica responsabile, non sottoposta ai ricatti di parlamentari desiderosi di diventare ministri o governatori;
–          la separazione della magistratura inquirente dalla magistratura giudicante;




–      referendum propositivo deliberativi con l’attribuzione ai cittadini di un potere d’intervento nella legislazione e nell’amministrazione a tutti i livelli della Confederazione: dal Comune alla Regione, dalle Repubbliche o Cantoni alla Federazione (come in Svizzera).

Il presidenzialismo

Il professore comasco riteneva che il presidenzialismo fosse necessario per garantire stabilità al sistema politico: egli pensava a un Presidente federale eletto dagli italiani a suffragio universale e diretto, un presidente dotato in parte delle funzioni esercitate nel nostro ordinamento dal Presidente del Consiglio e dal Capo dello Stato. Miglio riteneva però indispensabile che il presidenzialismo venisse bilanciato da tre contrappesi: a) un forte federalismo istituzionale presente nella prima Camera (quella politica) e nella stessa composizione del governo; b) una Corte costituzionale modificata nella composizione e rafforzata nel suo ruolo di garante della nuova Costituzione; c) Referendum propositivo deliberativi per consentire ai cittadini di intervenire nelle questioni politiche e amministrative contro l’insorgere del dispotismo dei partiti cui è incline la democrazia puramente rappresentativa (modello svizzero).

L’Assemblea federale

Come si è detto, il Parlamento e il Governo centrale verrebbero composti in base al principio federale. Relativamente al Parlamento, la prima Camera – la sola cui spetterebbe il potere di sfiduciare il governo con una maggioranza dei due terzi  – sarebbe l’Assemblea federale e verrebbe formata dalla riunione periodica delle Diete (Parlamenti) delle tre Repubbliche i cui membri sono eletti dalle rispettive popolazioni: 100 deputati dalla Padania, 100 dal Centro Italia, 100 dal Mezzogiorno. A questi 300 deputati si aggiungono i delegati dei Consigli delle 5 Regioni a Statuto speciale: 15 deputati siciliani, 10 sardi, 10 friulani, 6 dal Trentino Alto Adige/Sud Tirolo, 5 dalla Valle d’Aosta. In tutto 346 deputati con un taglio di 284 parlamentari rispetto ai 630 del nostro ordinamento. Nel progetto del professore gran parte della funzione legislativa e amministrativa passerebbe alle tre Repubbliche e alle cinque Regioni a Statuto speciale. Le poche leggi federali e le ristrette funzioni amministrative lasciate alla Federazione sarebbero il risultato di un autentico compromesso tra i rappresentanti delle grandi aree del Paese che siedono nelle Diete riunite nella già ricordata Assemblea federale. Si otterrebbe in tal modo un considerevole risparmio di risorse, non foss’altro perché – lo ripetiamo – sarebbero gli stessi deputati delle Diete a riunirsi periodicamente per formare l’Assemblea federale: questa sarebbe la sola Camera politica della Confederazione, l’unica in grado di sfiduciare il governo con una maggioranza non inferiore ai due terzi che sia concorde nell’indicare un Presidente federale da opporre a quello sfiduciato (sfiducia costruttiva). La sfiducia del Presidente comporterebbe elezioni anticipate: i cittadini sarebbero chiamati a rinnovare le Diete e ad eleggere il Presidente federale scegliendolo tra la persona sfiduciata e il candidato indicato dall’Assemblea nella mozione di sfiducia.

Il Direttorio federale

Ma il federalismo istituzionale investirebbe anche la composizione del governo centrale: un Direttorio presieduto dal Presidente federale (eletto da tutti gli italiani), formato dai Governatori delle tre Repubbliche (anch’essi eletti dalle rispettive popolazioni) e dal Presidente (a turno annuale) di una delle cinque regioni a Statuto speciale. La nomina dei ministri (che nel modello di Miglio assumono la qualifica di “Segretari di Stato”) spetterebbe al Presidente federale, il quale dovrebbe però sottoporli alla fiducia del Direttorio. In altre parole, il Direttorio federale sarebbe un governo di legislatura destinato a durare in carica quattro anni. Un governo schiettamente federale che, a mio parere, Miglio avrebbe voluto dotare di funzioni non solo amministrative ma anche legislative (nelle poche competenze lasciate alla Confederazione italiana). L’Assemblea federale si riunirebbe periodicamente solo per discutere materie importanti per le quali si ritiene indispensabile una legge quadro federale. In tal modo verrebbe sancito il ruolo fondamentale rivestito dal governo nella legislazione, com’è avvenuto d’altra parte negli ultimi vent’anni con i governi di centro-destra e di centro-sinistra, i quali – nell’attuale ordinamento unitario retto sulla forma di governo parlamentare – hanno abusato dei decreti legge e dei decreti legislativi violando la lettera della Costituzione. Nel modello di Miglio tale scostamento tra Costituzione reale e Costituzione formale verrebbe finalmente a cessare: il governo federale avrebbe tutti gli strumenti per esercitare le funzioni senza degenerare in governo autoritario: ricordiamo che saremmo in un ordinamento federale – non più unitario – in cui i Governatori delle diverse Italie – eletti direttamente dalle rispettive popolazioni – compongono il Direttorio federale.

Il Senato legislativo

Nel progetto di Miglio è prevista una seconda Camera. E’ il “Senato legislativo”: una Camera di alta legislazione in gran parte tecnica, specializzata nella redazione dei progetti di legge riguardanti i Principi fondamentali e la prima parte della Costituzione. In questo modo Miglio riusciva finalmente a separare la funzione legislativa da quella propriamente politica, spettante all’Assemblea federale. Formato da 200 senatori in possesso dei titoli per essere eletti a tale ufficio, il Senato legislativo verrebbe eletto dai cittadini italiani con metodo proporzionale. Sarebbe l’unica Camera ‘unitaria’ della Repubblica, il cui ruolo – in un ordinamento veramente federale come quello delineato nel modello migliano – sarebbe confinato a una funzione meramente tecnica. Difatti l’Assemblea federale, riunendosi periodicamente perché i suoi deputati lavorerebbero nelle Diete delle tre Repubbliche italiane e nei Consigli delle Cinque Regioni a Statuto Speciale, affiderebbe al Senato la redazione di progetti di legge nelle materie di competenza federale, progetti che l’Assemblea, tornata a riunirsi, approverebbe in via definitiva con la possibilità di modificarli. Il Senato legislativo sarebbe l’unico collegio rappresentativo riunito stabilmente a Roma.

La Corte Costituzionale

Il potenziamento della Corte costituzionale era fondamentale per il professore. Nel Modello di Costituzione federale per gli italiani egli proponeva una modifica significativa nella composizione della Consulta: “La Corte dovrebbe essere composta da giudici nominati per un quarto dell’Assemblea federale, per un quarto della Diete e per una metà dalle supreme magistrature ordinarie e amministrative. I membri dovrebbero essere portati a venti [dai quindici attuali]”. Riteneva peraltro importante che fosse istituita una Sezione competente in merito all’amministrazione economica della Repubblica.
Il rafforzamento della Corte si otterrebbe in due modi. Anzitutto affidando al Presidente della Consulta (che durerebbe in carica un anno, sorteggiato tra i venti giudici costituzionali) le funzioni di garanzia esercitate oggi dal Capo dello Stato: val la pena ricordare ad esempio la firma e la promulgazione delle leggi, nonché il potere delicatissimo di sciogliere le Camere. In secondo luogo, la Corte verrebbe rafforzata mediante l’introduzione del Procuratore della Costituzione: un altissimo magistrato nominato dalla Consulta al di fuori di essa, tra i candidati in possesso dei requisiti per essere eletti giudici della Corte costituzionale. Il Procuratore, che durerebbe in carica sette anni, avrebbe il potere di impugnare davanti alla Corte tutte le leggi (federali e territoriali) e regolamenti (federali e territoriali) di dubbia costituzionalità. Giova infine ricordare che, nel modello di Miglio, il Procuratore della Costituzione costituirebbe il vertice della Magistratura inquirente e, nell’adozione dei provvedimenti disciplinari, agirebbe di concerto con una commissione di 8 membri eletta dal Senato legislativo.
Il modello di Costituzione federale presentato da Miglio renderebbe l’Italia una vera Repubblica federale, garantendo al Paese piena governabilità nel rispetto della sovranità dei cittadini, ma anche delle Comunità territoriali esistenti nella penisola.

Caro Bersani, l’Ulivo non basta a far rinascere l’Italia…

Il leader del Partito Democratico, Pier Luigi Bersani, in un articolo apparso ieri su “Repubblica”, ha sostenuto che è tempo di costituire un nuovo grande Ulivo che sia in grado di realizzare il ‘miracolo’ del 1996: battere Berlusconi. Bersani non si è fermato qui. Ha bandito una “Santa Alleanza” che possa legare tutte le forze politiche che non si riconoscono nella cultura del ‘berlusconismo’. L’idea è quindi una sorta di alleanza costituzionale di cui facciano parte, oltre ai partiti dell’Ulivo (Pd e Di Pietro), le sinistre di Vendola e Ferrero, i centristi di Casini e i finiani. Romano Prodi, in un’intervista apparsa oggi sempre su “Repubblica”, ha plaudito all’iniziativa di Bersani, augurandosi che l’Ulivo cresca con maggiore slancio mediante l’inserimento di diserbanti, innesti e fertilizzanti perché “possa vivere abbastanza a lungo da produrre frutti sufficienti a risollevare le sorti dell’Italia”.

L’iniziativa di Bersani non credo vada nella direzione giusta. Essa si pone in una logica bipolare che a mio giudizio non regge in Italia perché non è in grado di produrre stabilità e quindi governabilità. Diciamolo una volta per tutte. Il bipolarismo è stato un fallimento: non è un bene nell’Italia berlusconiana di oggi, dove il Pdl – come ha detto ieri il premier – vorrebbe rappresentare il progresso e la spinta all’ammodernamento contro il vecchiume dei partiti di centro sinistra legati a una politica ciecamente conservatrice; non lo sarà in un futuro più o meno prossimo, se e quando la Santa Alleanza costituzionale riuscirà a vincere contro il Male incarnato dal centro destra: Berlusconi, la Lega Nord e tutti i partiti colpevoli di non riconoscersi interamente nei principi che sorreggono la Costituzione del ’48.

Come se ne esce? A mio giudizio occorre riconoscere che l’Italia non è un paese unito; è diviso – da sempre – in grandi aree tendenzialmente coincidenti con antichi Stati regionali, territori dove gli elettori votano diversamente perché influenzati da culture, tradizioni, storie e interessi economici molto diversi, se non addirittura opposti. Non si spiega altrimenti per quale motivo la Lega Nord e il Pdl berlusconiano siano nettamente vincenti nel Lombardo Veneto, mentre arranchino nel Nord Ovest e nel Centro Italia. I partiti di sinistra sono invece nettamente maggioritari nelle regioni a cavallo dell’appennino tosco emiliano, sono radicati in Liguria e nel torinese, ma non riescono a sfondare nel Sud Italia (fatta eccezione per la Puglia di Vendola) ove dominano le destre nazionaliste, tradizionaliste e autonomiste.

Credo non si possa ridurre a unità un paese così diviso, costringendo i perdenti a riconoscersi in una maggioranza che, lungi dal rappresentare l’Italia, ne rappresenta solo una parte. Il bipolarismo funziona in paesi di antica unità come Francia e Inghilterra oppure in paesi (gli Stati Uniti) dove il bipartitismo è stato importato dalla cultura anglosassone. A voler fare un paradosso, occorre recuperare lo spirito di mediazione della Prima Repubblica, attribuendo tuttavia non già ai partiti, ma ai rappresentanti dei territori il compito di governare nell’interesse del Paese. Un tale risultato può essere conseguito solo in un regime federale ove la tutela e la salvaguardia degli interessi territoriali sia adeguatamente riconosciuta e fatta convergere in una logica complessiva di unione.

Riprendendo il modello di costituzione federale redatto dal professor Miglio nel 1994, occorre quindi istituire un ordinamento federale strutturato su almeno due livelli: da una parte Stati regionali o Comunità regionali (che a mio giudizio dovrebbero essere i seguenti: Ligure Piemontese, Lombardo Veneta, Tosco Emiliana, Centro Italia, Sud Italia + 5 Regioni a Statuto speciale) che siano in grado di governarsi legiferando e amministrando in piena autonomia nella maggior parte delle materie oggi riservate allo Stato centrale; dall’altro il potere federale il cui governo dovrebbe consistere in un Direttorio presieduto da un Presidente della Repubblica eletto direttamente dagli italiani (presidenzialismo) e composto dai governatori dei cinque Stati (eletti anch’essi a suffragio universale e diretto dalle rispettive popolazioni), nonché da un rappresentante (a turno annuale) delle 5 Regioni a Statuto speciale (elevate a dignità di Stato regionale).

Se vi fosse un Direttorio noi avremmo un governo realmente capace di rappresentare la stragrande maggioranza degli italiani, in grado di produrre decisioni in tempi rapidi, non foss’altro che per il ristretto numero dei suoi componenti (7 direttori). Le decisioni verrebbero assunte a maggioranza in gran parte delle materie di competenza federale e all’unanimità nei casi in cui dovesse discutersi la legge finanziaria, il sostegno economico alle aree svantaggiate, l’introduzione di nuovi tributi, la cessione di nuove competenze agli Stati regionali o, viceversa, l’attribuzione provvisoria al governo federale di una parte delle funzioni detenute dai governi territoriali. Un Direttorio in cui un presidente della Repubblica eletto dagli italiani (sia egli di centro destra o di centro sinistra) dovrebbe mediare e decidere in tempi certi e costituzionalmente regolati assieme ai governatori di centro destra (presumibilmente i presidenti lombardo veneto e sud italiano) e di centro sinistra (presumibilmente i presidenti ligure piemontese, tosco emiliano e centro italiano).

E’ evidente che un tale programma potrà essere realizzato solo con una modifica della Costituzione. Il che è assai difficile nei tempi presenti. Sarebbe tuttavia auspicabile che i maggiori partiti (Lega, Pdl, Pd, Di Pietro) prendano atto che esiste non già un’Italia unita, ma più Italie e che solo facendole dialogare sarà possibile realizzare un vera unione senza violare gli insopprimibili diritti delle minoranze. Che è poi lo spirito del vero federalismo.