In questi giorni l’attenzione dei milanesi sembra essersi focalizzata sulle palme in piazza del Duomo. La cosa è davvero strana perché il tema è letteralmente esploso sui social. L’opinione pubblica è spaccata: i favorevoli – che secondo i sondaggi di Corriere della Sera e Repubblica sarebbero in minoranza – fanno notare che le palme conferiscono alla piazza un’anima esotica e originale.
Lo spazio è stato affittato dal Comune a Starbucks, che ha vinto il bando di sponsorizzazione per i prossimi tre anni. All’azienda americana, che aprirà nel 2018 un megastore nel palazzo delle Poste di piazza Cordusio, si deve la scelta audace del piccolo giardino di palme di fronte alla cattedrale, opera dell’architetto Marco Bay.
Il Sindaco Beppe Sala si mantiene cauto. Lascia trasparire una certa simpatia per l’idea: “certo che Milano osa eh…” scrive sul suo profilo Instagram, ma aspetta di vedere quale sarà la reazione dei milanesi nei prossimi mesi.
Certo, contrariamente a quanto affermano gli oppositori al “progetto palme”, i precedenti storici di questa scelta esistono e sono numerosi. A fine Ottocento la piantumazione di alberi tropicali nelle vie e piazze cittadine era diffusa per quel gusto dei paesi esotici che allora, in piena epoca coloniale, non mancava di affascinare gli europei.
A Bergamo ad esempio le palme erano presenti in via Tasso. Occorre poi ricordare le splendide ville che si affacciavano sui laghi Maggiore e di Como, ove le famiglie della nobiltà e della ricca borghesia industriale lombarda fecero a gara per impreziosire i parchi con specie arboree ricercate e originali.
Per la piazza del Duomo di Milano possiamo risalire addirittura alla fine dell’Ottocento, quando fecero la loro comparsa alcune palme basse attorno alla statua di Vittorio Emanuele II (vedi la foto in testa a questo articolo).
Wladimiro, un assiduo e affezionato lettore del mio blog, ha chiesto un mio parere sull’argomento. Non sono un esperto di architettura e neppure di giardini. Devo dire però che a me non dispiacciono le palme. Non è vero che queste piante siano estranee alla storia di Milano, come vanno dicendo i numerosi contestatori.
Tra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento le palme iniziarono a fare la loro comparsa nel panorama urbano: non solo arricchirono il verde cittadino, ma conferirono una veste inedita a spazi privati e pubblici.
Dal momento che la missione del Monitore è di richiamare all’attenzione del pubblico aspetti poco noti della storia milanese, porto due esempi di palme esistenti a Milano tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento.
Il primo riguarda un giardino privato oggi scomparso. Si tratta del vasto parco della villa Melzi d’Eril che si estendeva tra via Manin e via Moscova fin quasi a confinare con la chiesa di Sant’Angelo dei Minori Osservanti. Una foto scattata alla fine dell’Ottocento mostra uno chalet nel parco in occasione del ricevimento organizzato dalla contessa Josèphine Melzi-Barbò alla presenza del re d’Italia Umberto I.
Come si può facilmente constatare, davanti allo chalet c’erano diverse palme e piante esotiche. Paolo Mezzanotte e Giacomo Bascapé, nella loro monumentale opera Milano nell’arte e nella storia, ricordavano come il giardino di palazzo Melzi “si offriva generosamente all’ammirazione dell’osservatore…ridente di fiori e di piante ornamentali, esotiche e nostrali”. Nel 1928 questo spazio verde, un vero e proprio parco del tutto rapportabile per estensione ai giardini pubblici di Porta Venezia, venne distrutto. In gran parte dell’area fu costruito il palazzo della Montecatini, opera di Gio Ponti.
Il secondo esempio si lega invece alla Milano dei Navigli. In questa foto vediamo vicino al Naviglio interno, all’altezza dell’incrocio tra via Senato e corso Venezia, uno spazio occupato da una piccola casa ove operavano probabilmente gli addetti alla conca di navigazione. Dietro alla casa, a sinistra, si vede una palma. La fotografia risale ai primi anni del Novecento.
una cosa sono giardini pubblici e privati, un’altra Pza del Duomo.
Meglio Mussolini che vi aveva fatto seminare il grano durante l’autarchia Renzo Bracco
Mi congratulo per l’accurata ricostruzione storica; io non condivido la scelta perché avrei preferito essenze autoctone in coerenza con la necessità di preservare la biodiversità, tuttavia l’effetto visivo non sembra male e poi Milano è la città del cambiamento e quindi il commento del Sindaco appare appropriato.
Milano ha sempre accolto personaggi, usi, mode, tendenze, stravaganze d’ogni genere. Con la stessa generosità ha storpiato il proprio profilo in più occasioni come, a mio personale giudizio, l’orrore davanti alla Stazione Centrale, il monumento a Pertini e quello ai Bersaglieri per nominare i più significativi. Così, mentre per i nostri numerosi immigrati, le palme in piazza Duomo a Milano possono sostenere un pensiero nostalgico, con buona pace del “Boldrini-pensiero” per me, giusto per rimanere in tema, hanno la stessa utilità d’una lampada abbronzante nel deserto e lo stesso senso di un salvagente in cemento.
Ovvio, non sono un urbanista di grido o un politico che non sa come far parlare di sè quindi, il mio parere vale solo averlo potuto esprimere.
Grazie per questo e buon tutto a tutti,
el milanes