Il ruolo di Milano come centro di una vasta area metropolitana è stato oggetto di innumerevoli studi da almeno trent’anni. L’interesse per questo tema si è accresciuto negli ultimi tempi in seguito all’approvazione della legge 56/2014, la cosiddetta “Legge Del Rio” che, nel riformare l’ente provincia, ha istituito le città metropolitane di Milano, Torino, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli e Reggio Calabria, dando seguito al disposto del titolo V della Costituzione.
Probabilmente ti starai già facendo questa domanda.
Va bene Gabriele. A me cosa importa della città metropolitana? Cosa cambierà nella mia vita?
Una domanda elementare e sensata. Anzi. Spesso mi vien fatto di pensare che se il legislatore e la pubblica amministrazione dessero risposte elementari ai bisogni dei cittadini – come ad esempio leggi e regolamenti di poche pagine, servizi veloci e puntuali – avremmo guadagnato in efficienza amministrativa quel ritardo che il nostro Paese sconta nelle classifiche internazionali di fronte a Stati europei simili al nostro per dimensioni e popolamento: penso a Germania, Francia, Inghilterra.
Ma torniamo alla Città metropolitana. In effetti, chi leggesse per la prima volta il lungo testo della legge Del Rio scoprirebbe che la normativa obbedisce al fine primario di snellire l’ente provincia, trasformandola in sostanza in una federazione di comuni. Eppure, a un’attenta disamina, le novità sono molte. Compaiono appunto le città metropolitane. Nel caso di Milano tale ente intermedio coincide nella sua estensione con la vecchia provincia. Qui ci sarebbe già motivo di criticare questa legge per due ragioni. Anzitutto perché Monza e i Comuni limitrofi continuano a formare una provincia a sé stante. Negli anni passati – com’è noto – furono staccati da Milano per una decisione politica che nulla aveva da spartire con le ragioni della storia e della buona amministrazione. Nei prossimi anni sarà importante insistere perché Monza e la parte di Brianza attualmente compresa nel suo circondario tornino ad essere comprese nell’area metropolitana milanese.
In secondo luogo, la scelta di limitare il nuovo ente metropolitano al territorio della provincia è a dir poco discutibile perché gli studi di scienza amministrativa hanno dimostrato da anni che l’area metropolitana milanese si estende ben oltre quei confini, fino a comprendere innumerevoli comuni situati nelle province di Novara, Varese, Como, Lecco, Lodi, Pavia, Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova. Insomma, una maggiore creatività istituzionale sulla base dei risultati delle scienze economiche avrebbe consentito di configurare meglio il nuovo ente.
Nonostante tali mancanze, la legge ha però il merito di aver introdotto finalmente la città metropolitana che, limitatamente ai Comuni della vecchia provincia di Milano, è un’area a economia avanzata i cui abitanti hanno in comune alcune caratteristiche che si fanno via via più evidenti all’avvicinarsi al comune capoluogo. La città metropolitana di Milano comprende oggi 134 Comuni con una popolazione superiore ai 3 milioni di abitanti e una densità pari a 1924,39 abitanti per kmq. Quali sono queste caratteristiche che differenziano i comuni metropolitani dagli altri municipi italiani? Anzitutto il fenomeno del pendolarismo, il Daily Urban System, in base al quale un numero considerevole di cittadini metropolitani si reca a Milano per ragioni di lavoro. In secondo luogo, l’alto valore del dato sull’occupazione di tipo medio-alto e i livelli contenuti degli indici relativi all’attività agricola e all’istruzione bassa.
Se poi vogliamo scendere ancor più in profondità nell’analisi socio-economica, occorre ricordare che in alcuni comuni della Città metropolitana gli studiosi hanno individuato caratteristiche ulteriori. Sono municipi che costituiscono assieme a Milano il nocciolo duro dell’area metropolitana. Immediatamente confinanti con il comune di Milano, che domina nettamente con una popolazione superiore al milione di abitanti e una densità pari a 6.822,23 abitanti per chilometro quadrato – a proposito, se vuoi saperne di più su questa Grande Milano costituita tra Otto e Novecento, clicca qui 😉 – ci sono nove comuni: Bresso, Cinisello Balsamo, Cologno Monzese, Cormano, Corsico, Cusano Milanino, Novate Milanese, Pero, Sesto San Giovanni. Gli specialisti hanno definito questa corona immediatamente esterna a Milano con il termine di urban core. La struttura urbanistica di tali municipi quasi si confonde con la città capoluogo. Alcuni vi riconoscono addirittura una “Milano funzionale” che è quasi tutt’uno con la Milano amministrativa. Questi comuni condividono con la metropoli una soglia elevata di valori che sono tipici di aree ad economia avanzata: mi riferisco al tasso di occupazione medio alta, all’indice di istruzione alta e al reddito pro-capite. Quest’area ha un territorio complessivo pari a un terzo del Comune di Milano, una popolazione di 334.990 abitanti, e una densità per abitante seconda solo a Milano, pari in media a 5279 kmq. Monza, esclusa per ora dalla Città metropolitana, rientra nell’urban core.
Torniamo alla Città metropolitana nel suo complesso. Le opportunità per una migliore gestione del territorio giocano tutte a favore di questa nuova istituzione, il cui obiettivo primario sarà quello di garantire una qualità di servizi analoga a quello garantita ai milanesi nei trasporti, nelle comunicazioni, nella viabilità, nelle infrastrutture, nella mobilità, nella connessione a banda larga e nella tutela dell’ambiente.
Il divario tra Milano città e la sua antica provincia è sotto gli occhi di tutti. Oggi un abitante di Pantigliate, Carpiano, Rosate, Sedriano, Garbagnate, Grezzago – per citare alcuni comuni situati nelle zone metropolitane verso le quali guardano le sei porte cardine di Milano (Orientale, Romana, Ticinese, Vercellina, Comasina, Nuova) – può raggiungere il centro con una rete di trasporto inefficiente: una rete concepita per servire gli abitanti di un piccolo comune o di piccoli municipi, non può rispondere ai bisogni di una popolazione i cui spostamenti sono quelli di un’area a economia avanzata equiparabile a Londra, Parigi e Chicago. Lo stesso vale per gli spostamenti dei cittadini da un comune all’altro dell’area metropolitana, spostamenti dettati in primo luogo da ragioni di lavoro. Occorre poi aggiungere un terzo flusso: quello dei milanesi che vanno a lavorare fuori città, in comuni situati nella vecchia provincia. Non occorre essere degli specialisti in geografia economica per capire che oggi, rebus sic stantibus, manca una gestione metropolitana dei mezzi pubblici; mi riferisco a un servizio che possa consentire di spostarsi su linee di trasporto pensate non solo per servire il flusso periferia-centro e centro-periferia, ma anche gli spostamenti tra i comuni metropolitani. Pesa soprattutto l’assenza di un servizio di trasporto pubblico regolato da una tariffa valida per il territorio metropolitano.
Oggi la distanza tra Milano e i cittadini dell’area metropolitana è lampante per quanto concerne un altro tema cruciale: l’utilizzo dell’auto privata. In questi anni il Comune di Milano è riuscito a disincentivare l’utilizzo dell’automobile, un mezzo di trasporto utilizzato dal 54% dei milanesi. Nei prossimi anni l’obiettivo sarà di ridurre ulteriormente tale fenomeno portandolo alla soglia del 44%, al livello delle maggiori città europee. Ebbene, se ci volgiamo ai comuni dell’area metropolitana, ci accorgiamo che la percentuale dei cittadini che si servono dell’automobile supera invece l’80%. Un divario enorme, che si spiega con la già citata assenza di un servizio efficiente di trasporti pubblici su scala metropolitana: uno dei campi cruciali su cui si giocherà l’avvenire della nuova istituzione.