Il naviglio interno è un po’ come i fiumi carsici: si nascondono per chilometri sottoterra per riaffiorare nuovamente alla luce. Il canale, interrato nel 1929 durante il fascismo, scomparve per decenni dalla memoria dei milanesi. Per gran parte del Novecento di esso non rimase più traccia. Continuò a vivere nei ricordi dei vecchi, dei cultori di storia milanese e di qualche poeta. Chi l’avrebbe detto che sarebbe tornato a calcare le scene da protagonista? Da un decennio rivive nella mente dei milanesi. Oggi si discute addirittura di una sua parziale riapertura nelle vie del centro. Non si tratta di un’illusione come qualcuno ha scritto. Il progetto della riapertura del naviglio è un fatto concreto: elaborato dal Politecnico di Milano da gente seria e competente, è stato sottoposto alla giunta comunale per una stima dei costi e della sua fattibilità. Prevede la parziale riapertura del canale, le cui acque tornerebbero a scorrere lungo le vie Melchiorre Gioia, San Marco, Fatebenefratelli, Senato, Visconti di Modrone, Francesco Sforza, Santa Sofia, Molino delle Armi, De Amicis, via Conca del Naviglio fino alla Darsena di Porta Ticinese. Negli ultimi anni sono stati pubblicati diversi libri sull’argomento: ad esempio il bel volume di Empio Malara, Il Naviglio di Milano, (Hoepli, Milano 2008) ma anche quel gioiello di storia milanese che è il vecchio libro di Giacomo Carlo Bascapé, Il Naviglio di Milano ripubblicato dal Polifilo l’anno scorso.
Perché oggi si parla di riaprire il naviglio? Torniamo a quel 1929, quando il podestà Giuseppe Capitani d’Arzago ne decise la chiusura. Milano andava mutando radicalmente la sua fisionomia urbana. La città nuova, che i fascisti vollero lanciata verso il progresso dell’economia industriale, uscì trasformata dell’opera del piccone. Molte vie del centro furono oggetto di interventi radicali, che alterarono in molti punti l’originario impianto medievale. Pensiamo ad esempio a piazza Diaz, costruita mediante la demolizione dell’antico quartiere del Bottonuto; al superbo edificio della Stazione Centrale, al palazzo dell’Inps in piazza Missori: facciate che mostrano ancora oggi quale fosse la politica di quegli anni, tutta informata all’esaltazione della razza fascista.
La città del boom economico degli anni Cinquanta e Sessanta ereditò in gran parte lo spirito di quella fascista: una metropoli forte, orgogliosa, in marcia verso il progresso. Nel dopoguerra fu tutto un costruire palazzi ove un tempo esistevano piccole chiese e vecchie cascine. Nel 1965 Adriano Celentano scriveva Il ragazzo della via Gluck pensando con nostalgia alla Milano circondata dai campi che andava sparendo sotto i colpi della speculazione edilizia. Come diceva Adriano? “Quella casa in mezzo al verde…dove sarà???”. S’innalzarono i primi grattacieli. I disastri e le miserie della guerra erano scomparsi. Arrivarono gli anni di gomma, delle prime automobili e motorini di massa: nella Milano del boom le porte erano aperte a chiunque aveva voglia d’intraprendere. Una città lanciata verso l’innovazione, tutta votata al culto del progresso.
In quella Milano il naviglio interno non poteva aver spazio. Chi aveva tempo per capirne il significato? Quale utilità poteva rivestire in una città ansiosa di costruire? Il naviglio interno era il testimone scomodo di una Milano scomparsa. Le sue acque maleodoranti a due passi dalla Madonnina, quelle su cui erano transitati i barconi carichi di merci e di passeggeri facevano parte di un passato da dimenticare. Un passato scomodo perché ricordava ai milanesi quali erano state le sofferenze e i sacrifici dei loro antenati; alcuni morti suicidi nei gorghi del naviglio che, come scriveva Manzoni in un epigramma, “gibigianando va“.
Nella vecchia Milano dei navigli lo sviluppo economico era stato lento ma progressivo. Era una città fatta di povertà e di tante miserie quotidiane: una Milano umile, percorsa da uno spirito di comunità in cui i nobili e i borghesi non vivevano su un altro mondo ma aiutavano i poveri, gli anziani, i malati, i meno fortunati impegnandosi assiduamente negli enti assistenziali e caritativi. Tutta un’altra realtà rispetto alla Milano del Novecento, sede dell’industria e del terziario, tutta immersa nel culto del lavoro per il lavoro, di un arricchimento che ha fatto perdere di vista lo spirito di umiltà e il culto delle tradizioni ambrosiane.
Eppure, per uno di quegli strani paradossi che ci riserva il divenire storico, lo spirito della Milano novecentesca sta svanendo, lasciando spazio a una mentalità diversa, più a misura d’uomo. La crisi economica ha costretto i milanesi a ripensare se stessi e il loro modo di vivere, anzi di sopravvivere ai colpi della recessione. Può stupire ma nella città di oggi si respira un’atmosfera più vicina alla piccola Milano di Manzoni e di Stendhal. Una Milano fatta di assistenza, di attenzione verso l’altro, di carità, di impegno concreto a sostegno degli ultimi.
Ieri, mentre passavo per una via non molto lontano dal centro, a pochi passi da Porta Romana, ho visto un giovane che pedalava su una strana bicicletta: la parte anteriore era costituita da una pedana su cui erano sistemati, legati assieme, alcuni pacchi e scatole di varia larghezza. Quindici anni fa vedevo anonimi furgoncini attraversare veloci la strada. Oggi vedo biciclette che trasportano merci. Forse sbaglierò ma credo che questi anni duri stiano cambiando la mentalità e gli stessi modi di vivere dei milanesi.
Ecco per quale motivo, nella nuova Milano che sta nascendo sulle rovine di quella novecentesca, la riapertura del naviglio interno potrebbe essere un’occasione unica: sarebbe il segno che la vera anima di Milano non è quella cinica, indifferente ed egoista del cumenda cui siamo stati abituati da certa vulgata nazionale, ma quella bonaria, altruista, laboriosa; quella – per intenderci – che, molti secoli fa, realizzò i navigli. La riapertura del canale in centro non consentirebbe soltanto di riattivare a fini turistici il collegamento delle acque della Martesana con quelle del Naviglio Grande. Ridonerebbe a Milano la sua identità originaria di città a misura d’uomo: città di lavoro ma anche città in cui condividere gli spazi in un ambiente vivibile, pittoresco, ricco di verde.
Quasi impossibile non essere coinvolti leggendo questo articolo che “trasuda” amore per la città, per quello che è stata e per quello che di nuovo potrebbe tornare a essere. Con le relative – bellissime – foto in bianco e nero.
La riapertura dei navigli sarebbe sicuramente un’ottima occasione sotto tanti punti di vista.
Il mio personale ricordo va a certi dipinti delle Gallerie d’Italia di via Manzoni, mentre sbirciando il cortile della casa di don Lisander lo sguardo s’imbatteva in quadri – della zona intorno a San marco – con imbarcazioni che ancora li percorrevano.
Una vera emozione.
Mariapia Frigerio
Gentile signora Frigerio, la ringrazio molto per il suo commento! In effetti, confesso di amare moltissimo Milano. Speriamo che il progetto di riapertura dei navigli venga approvato dalla giunta comunale e che i lavori ci restituiscano nei prossimi anni quel naviglio in centro città che è parte preziosa dell’identità storica cittadina.
grazie a te, caro Gabriele, per per gli splendidi “tocchi” che ci doni di questa città che, a quanto pare, amiamo molto entrambi
Mariapia
La chiusura dei navigli era iniziata già nell’Ottocento ed è proseguita nel Dopoguerra. E la riapertura è un progetto altrettanto superbo che quelli fascisti, sul livello della Roma imperiale.
Non scaviamoci la Fossa col delirio di onnipotenza di creare (o ricreare) il migliore dei mondi possibili. Le vie d’acqua hanno un impatto non minore che l’alta velocità, pur sbandierandole con lo slogan della mobilità sostenibile.
Appena si affrontano i costi e disagi dei lavori, saranno tutti No Canal.
Vienna ha demolito i bastioni per fare la Ringstrasse, cioè appunto una circonvallazione.
Gentile lettore,
la ringrazio per essere intervenuto arricchendo il dibattito sulla riapertura dei navigli. La sua posizione è chiaramente per il No alla riapertura. Cercherò di rispondere punto per punto alle sue osservazioni spiegandole alcuni dei motivi che spingono il sottoscritto – e molti milanesi – a sostenere con entusiasmo le ragioni del Sì alla riapertura della Martesana e del Naviglio Interno a Milano.
1. Lei scrive “La riapertura è un progetto altrettanto superbo che quelli fascisti, sul livello della Roma imperiale”. Non è così. Anzitutto perché di superbo, mi permetta, non c’è proprio nulla. Il progetto di riapertura e lo studio di fattibilità sono stati elaborati per il Comune di Milano da una squadra di tecnici e di specialisti che hanno lavorato con passione, mossi dall’umile consapevolezza di proporre qualcosa che possa migliorare la qualità della vita dei milanesi. Un progetto tutt’altro che superbo perché si pone in continuità – sia pure in forme diverse – con la comunità storica ambrosiana, con lo spirito di condivisione degli spazi, con quella operosa atmosfera di solidarietà e di vicinanza tra le classi sociali che era tipica della Milano dei navigli. Il progetto della riapertura consentirà di avvicinare maggiormente le periferie al centro attraverso la navigazione lungo il naviglio riaperto. Certo, questo avverrà in forme diverse rispetto al passato, com’è giusto che sia. Viviamo nel XXI secolo, non già nel Sette-Ottocento. Sarebbe assurdo riproporre il naviglio quale era.
2. E’ vero che la chiusura dei navigli in centro città risale alla fine dell’Ottocento ma riguardò allora solo un piccolo tratto, il naviglio di San Gerolamo che scorreva lungo le attuali vie Carducci e parte di via De Amicis. L’amministrazione fascista, nel 1929-30, osò spingersi oltre e realizzò la copertura della cerchia interna. Ribaltando la sua argomentazione, quello fu un atto superbo dei fascisti perché alterò, con decisione improvvida, una parte fondamentale dell’identità storica cittadina. I navigli, con il sistema delle conche, furono infrastrutture all’avanguardia in Europa: come scrisse Cattaneo in un passo memorabile delle Notizie naturali e civili della Lombardia, i milanesi insegnarono all’Europa l’arte della navigazione per canali. La riapertura sarà l’occasione per recuperare, piegandola ai bisogni e alle esigenze del presente, una infrastruttura secolare, fortemente radicata nella storia lombarda.
3. E qui, caro lettore, il paragone con Vienna non regge. Lei scrive: “Vienna ha demolito i bastioni per fare la Ringstrasse, cioè appunto una circonvallazione”. Anche a Milano si fece qualcosa di simile quando, incorporato in città il Comune dei Corpi Santi, fu costruita la grande strada di circonvallazione, quella ove passano i tram lungo viale Bligny, viale Sabotino, viale Montenero e così via. Mi scusi ma questo tuttavia con la riapertura dei navigli c’entra nulla. Anzi, se volessimo fare un paragone con Vienna – città che amo – dovremmo pensare al Danubio ma gli austriaci si guardarono bene dal coprire l’intero tratto di fiume che scorre in città. La ragione è semplice. Se lo avessero fatto, avrebbero sfregiato, violandola irreparabilmente, una parte stupenda del paesaggio urbano. I navigli milanesi sono la stessa cosa: costituiscono un elemento insopprimibile dell’identità urbana.
4. Se i milanesi riapriranno i navigli in centro città – come mi auguro – non sarà quindi per “delirio di onnipotenza”; ad essere recuperata sarà una parte fondamentale della storia e dell’identità cittadina, recando un miglioramento senza precedenti nella qualità della vita. Il naviglio interno non sarà certo teso “a creare (o ricreare) il migliore dei mondi possibili” come scrive lei. Nulla di più lontano dai promotori dell’iniziativa. Si legga lo studio di fattibilità che un gruppo di architetti, esperti del traffico, ingegneri, paesaggisti e docenti del Politecnico ha elaborato per il Comune di Milano. Lo può scaricare liberamente dal sito del Comune a questo indirizzo: http://bit.ly/1QqPsGO. Esso è articolato in sezioni, ciascuna delle quali si riferisce ai quartieri della città attraversati dal naviglio. In ciascuna zona si è preso in esame il peculiare stato urbanistico, l’identità specifica dell’area perché il naviglio possa arricchire l’ambiente aggiungendo in molti casi elementi di attrazione turistica e di vivibilità che oggi sono assenti.
5. Lei scrive “Le vie d’acqua hanno un impatto non minore che l’alta velocità, pur sbandierandole con lo slogan della mobilità sostenibile”. Se con il termine “vie d’acqua” lei si riferisce all’omonimo progetto elaborato a suo tempo per Expo, la fermo subito perché sono sempre stato contrario. Quello era sì un progetto “da delirio di onnipotenza”, perché avrebbe portato alla realizzazione di canali artificiali per innumerevoli chilometri in territori completamente estranei alla storia dei navigli. Su tutt’altro piano si pone invece la riapertura della Martesana e del Naviglio interno in centro città. Limitata a meno di otto chilometri, la riapertura non stravolgerà affatto l’assetto urbanistico perché si pone in continuità con la storia di Milano: verranno recuperati scorci e paesaggi ancora segnati dall’antico canale, sarà accresciuto enormemente il decoro urbano favorendo una maggiore attrazione turistica del centro; la riapertura contribuirà alla diffusione della movida (oggi concentrata in alcune zone del centro, vedi Darsena) verso le periferie. Penso al rilancio di via Melchiorre Gioia ove lo studio di fattibilità propone, in via del tutto originale, la formazione di una strada ribassata – larga pressappoco quanto corso Vittorio Emanuele – al cui interno scorrerà la Martesana larga 7 metri; sulla banchina sinistra saranno ricavati spazi per esercizi pubblici, esercizi commerciali, oltre a una pista ciclabile continua. Oggi invece le piste sono interrotte in più punti.
6. Il progetto della riapertura dei navigli si pone all’interno del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile elaborato dal Comune di Milano ove, nell’arco dei prossimi dieci anni, sarà prevista in centro città una riduzione del traffico automobilistico. Questo avverrà in concomitanza con l’attivazione della linea 4 della metropolitana. Alcune stazioni di questa linea (Sforza-Policlinico, Santa Sofia, Vetra) correndo lungo il tracciato della cerchia del naviglio, agevoleranno ancor più la mobilità dei cittadini in centro. La presenza delle automobili private all’interno della cerchia – seguendo il trend degli ultimi quindici anni – diminuirà ulteriormente. Entro il 2025 Milano raggiungerà uno standard di vita urbano tipico di città europee quali Londra o Parigi, ove l’utilizzo dell’auto privata è decisamente inferiore rispetto a quello ambrosiano.
7. Ritengo invece fondata – e meritevole di somma attenzione da parte degli amministratori locali (mi riferisco tanto ai Comuni quanto alla Regione) – questa sua obiezione: “Appena si affrontano i costi e i disagi dei lavori, saranno tutti No Canal”. Questo è quel che gli amministratori dovranno evitare a tutti i costi, qualora decidano per la riapertura dei canali. Il progetto si pone all’interno di un piano teso a rendere navigabili i laghi, i fiumi e i navigli lombardi con sistemi di trasporto a fini turistici. Gli itinerari saranno sostanzialmente tre: da Locarno e dal Lago Maggiore a Milano attraverso il Ticino e il Naviglio Grande; dal Lago di Como e dall’Adda a Milano attraverso la recuperata navigabilità del naviglio Martesana; da Milano a Pavia e da Pavia a Venezia mediante la recuperata navigabilità del naviglio pavese. La riapertura dei navigli in città, mettendo in collegamento la Martesana con la Darsena di Porta Ticinese, consentirà a Milano di tornare ad essere uno snodo fondamentale della navigazione turistica. Il tutto in piena armonia con la storia secolare dei territori attraversati dai canali. Guai a pensare che questo progetto sia di facile attuazione e senza disagi! Ci saranno certamente disagi (ma assai limitati per la suddivisione dell’opera in parti, come si può constatare nello studio di fattibilità) ma deve essere chiaro fin dall’inizio che i benefici in termini di bellezza del paesaggio, disponibilità di spazi ricreativi, qualità della vita e dell’ambiente saranno immensamente superiori e avranno ricadute economiche che favoriranno la ripresa.
8. Il costo della riapertura del naviglio Martesana e del naviglio interno in città – stimato in 409 milioni di euro – potrà essere sostenuto in larga parte dalle istituzioni lombarde: Regione, Città Metropolitana, Comune di Milano, Comuni interessati. Anche i cittadini potranno intervenire: pensiamo soltanto che, se i Milanesi donassero un euro al giorno (il costo di un caffè) per un anno e due mesi, si pagherebbero da soli un progetto che merita davvero di essere realizzato per il bene della città. Nello studio di fattibilità si sono messi in conto i disagi che verranno causati dai lavori, la cui durata sarà di dieci anni. Dieci anni senza interruzioni possono essere sopportati se il risultato sarà una Milano ricca di acque, di spazi verdi, di ambienti ricchi di attrazione turistica. Una Milano finalmente europea nella qualità della vita con meno traffico automobilistico nel centro storico, più mezzi pubblici, più spazi per la mobilità dolce (corsie ciclistiche).
Pol Pot cercava la continuità storica con l’antico impero Khmer, e gli arrampicati sul campanile con la Repubblica Veneta.
Rileggiamoci “Sull’utilità e il danno della storia per la vita” di Nietzsche:
storia monumentale=strisciare nella polvere davanti al genio di Leonardo & c
storia antiquaria=conservare feticisticamente tutto fino a saturazione dello spazio
storia critica=dedicare tutte le risorse sulla correzione dei presunti errori del passato
Se piace tanto l’acqua, iniziamo a rimetterla nei fossati del Castello.
Non basta certo una linea metro per poter chiudere una circonvallazione, che scaricherebbe il traffico nelle aree più esterne già ultracongestionate. Sono già abbastanza squallidi i cavalcavia di Corvetto e Monteceneri, e magari ci scappa pure la Gronda, solo per dedicare il centro alle passeggiate degli snob e magari alle gondole.
Sulla via d’acqua Locarno-Venezia si è perfino cianciato di collegare due festival del cinema, come se i film viaggiassero in barca
Gentile lettore, la ringrazio per essere intervenuto. Leggerò volontieri l’opera di Nietzsche “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”, che non conoscevo.
Per quanto riguarda le sue critiche, prendo atto del suo scetticismo e della sua contrarietà. Mi permetta di dirle solo questo. Ha letto lo studio di fattibilità elaborato dal Politecnico sulla riapertura del naviglio in centro città? Se lo leggerà, capirà che il progetto della riapertura non ha nulla da spartire con l’antico naviglio chiuso nel 1929/30. E’ una infrastruttura moderna, pensata per rilanciare Milano sul piano turistico coerentemente con il Piano Urbano della Mobilità elaborato dal Comune, piano che prevede nei prossimi dieci anni un’ulteriore riduzione del traffico automobilistico nel centro di Milano. Nel mio articolo ho citato il vecchio naviglio interno per mostrare come Milano sia nata sull’acqua e abbia avuto con l’acqua un rapporto strettissimo per secoli. Detto questo, lo studio di fattibilità del Politecnico elaborato per il Comune non si sogna certa di ripristinare il naviglio come fu. Si tratta invece di una nuova infrastruttura che renderà più bella e attraente Milano, valorizzando il suo patrimonio artistico culturale in centro come in periferia, coerentemente con i bisogni e la mobilità di una città del XXI secolo. Non si tratta affatto di dedicare il centro alle passeggiate degli snob. Al contrario, mettendo in collegamento i navigli Martesana, Grande e Pavese, il nuovo naviglio interno consentirà alle periferie e ai comuni dell’area metropolitana di entrare in più stretto contatto con il centro cittadino. E’ un piano innovativo che – lo confesso – mi affascina grandemente perché coniuga rispetto per il verde, mobilità dolce, navigli. Il naviglio interno tornerà ad essere il cuore di Milano ma in modo certamente diverso rispetto a un tempo. Un cordiale saluto
Fattibile è la riapertura, come allora lo era la chiusura, ma se si fa tutto il fattibile viene fuori un putiferio. Sergio Romano in “Memorie di un conservatore” ci richiama a tenere la testa sulle spalle.
Einstein diceva che Dio non gioca a dadi, e io ricorderei soprattutto che i padreterni di questo mondo non dovrebbero giocare con la città come fosse il lego.
Se un individuo vuole il mondo a sua misura, è un esaltato. E se moltissimi individui lo vogliono a misura d’uomo, sono moltissimi esaltati.
Alcuni dicono che l’Italia non ha radici storiche, ma comunque c’è, piaccia o no. L’Israele dovrebbe avere radici storiche dai tempi dell’Antico Testamento, ma i problemi ci sono lo stesso.
Ora che la Darsena è a posto, pensiamo a rendere navigabile il Naviglio Pavese, senza impatto sulle strade. Riguardo quello che FU in centro, nei giardini di Santo Stefano si potrebbe mettere un blocco di granito per ricordare il Laghetto dove approdava il materiale per costruire il Duomo (chiuso per motivi igienici ancora nel 1857, non dal solito Fascismo). O se proprio si vuole l’acqua, lì uno stagno a ricircolo ci dovrebbe poter stare
Piacenza ha l’acqua del Po, ma il Pubblico Passeggio è una strada ad anello totalmente asciutta.
A Milano, se lasciamo la retorica storicista e guardiamo al presente, la cerchia più pedonalizzabile è certamente quella dei bastioni, con tram e alberi, nonché parallele a pochi metri altre vie aperte la traffico (Viale Maino, Viale Bianca Maria …). Ciò senza nessun cantiere per riesumare antichi corsi d’acqua, né piazzare vasche e fioriere (Corso Como) o allargare i marciapiedi (Corso Garibaldi). Mobilità dolce senza lavori amari.
Relatisticamente accontentiamoci di portare l’acqua fino a San Marco, senza mettere mano sull’arteria Via Sforza/Via De Amicis. Piuttosto si potrebbe semmai risuscitare il Naviglio Morto in Via Pontaccio fino al fossato del Castello, con assai meno impatto
Se l’obiettivo è la navigabilità della rete complessiva dei Navigli lombardi – centro di Milano compreso – ed è stato dimostrato che è realistico, credo che non vi siano motivi per dire di no a una riapertura parziale del naviglio interno nelle vie Fatebenefratelli, Senato, San Damiano, Visconti di Modrone, Sforza, Santa Sofia, Molino delle Armi e De Amicis fino a via Conca del Naviglio. Non avrebbe senso invece riaprire il Naviglio morto in via Pontaccio proprio perché non consentirebbe alcun collegamento con tratti di canale navigabili. Il Naviglio interno da Fatebenefratelli a De Amicis consentirebbe invece il collegamento della Martesana con la Darsena di Porta Ticinese.
Salve, lascio qui un commento che non c’entra con l’argomento del post, ma non ho trovato una mail a cui scrivere, per cui per comunicare con lei diventa necessario aggiungere un commento. Amerei leggere il suo interessante blog senza che si apra ogni due minuti il fastidioso popup dell’iscrizione alla newsletter (che ho già sottoscritto). È possibile? Grazie
Purtroppo no… grazie per essere intervenuta!