E’ assai probabile che non fossero in molti i milanesi dei secoli passati che andavano alla messa di mezzanotte. La funzione religiosa veniva celebrata in poche chiese del centro: il Duomo, San Fedele, l’antica (oggi scomparsa) Santa Maria Segreta.
Nella basilica di Sant’Angelo, un tempo sussidiaria di San Marco nel sestiere di Porta Nuova, venivano addirittura distribuiti bigliettini d’invito per evitare che la chiesa fosse frequentata unicamente da compagnie chiassose di nottambuli, il che la dice lunga sulla scarsa partecipazione dei milanesi alla messa di mezzanotte.
Non dobbiamo pensare tuttavia che si trattasse di scarsa devozione. Occorre tener presente che un tempo gli edifici di culto non venivano riscaldati. Risultava quindi difficile ai milanesi uscire di casa per assistere alla messa immersi nel freddo. I membri delle classi abbienti entravano in chiesa ben coperti da cappotti o pellicce. I meno fortunati assistevano probabilmente alla celebrazione con lo stesso spirito di chi, entrato in un frigidaire, non vede l’ora di uscirne per tornarsene al calduccio in casa propria.
C’erano poi le allegre brigate di amici che, terminata la messa di mezzanotte, si recavano dal Nava in via Bocchetto o dal Bouthou in contrada dei Due Muri (via oggi scomparsa, si trovava pressappoco tra via Mengoni e piazza del Duomo): erano alcuni dei pochi locali che restavano aperti fino a notte fonda. I fedeli, usciti dalle chiese intirizziti dal freddo, non esitavano ad entrare in queste botteghe per ordinare cioccolate calde o quella che è passata alla storia con il nome di “barbaiada”: una bevanda fatta con caffé e cacao che l’impresario teatrale Domenico Barbaja, giunto a Milano nel 1826 dopo aver lavorato per un certo tempo a Napoli, aveva contribuito a far conoscere ai milanesi.
Più complessa la situazione nelle famiglie più ricche. Se le padrone assistevano alla messa di mezzanotte, le domestiche eran costrette a rinunciarvi, impegnate com’erano nella preparazione del pranzo natalizio. La servitù si accontentava della benedizione impartita dai preti. I cuochi preparavano i ravioli fin dal giorno della vigilia, ovviamente sorvegliati dalle padrone di casa che non esitavano a rimproverarli con inviti più o meno cortesi a metterci meno sale, più salsiccia, poco pepe…..
E il panettone? Non si pensi che la sua forma fosse quella di oggi, simile a una sfera o a un cilindro. Il panettone era semisferico e questo spiega molto bene l’origine del complimento che i corteggiatori un po’ disinibiti rivolgevano alle signore mentre ammiravano il loro fondoschiena: “Che bel panetton!”.
Nella Milano ottocentesca il vero panettone era sfornato dal Baj, un pasticciere il cui negozio si trovava sotto la Madonnina, in piazza del Duomo all’angolo di via Santa Radegonda. I panettoni che avanzavano erano ceduti a poco prezzo ai “fregujatt”, i “venditori di briciole” che provvedevano a rivenderli raffermi nei borghi o alle fiere. Perché non tutti avevano la possibilità di mangiare il panettone fresco, appena sfornato.
Auguro agli affezionati lettori di questo blog un sereno Natale.