Un consiglio a Monti: tenga lontano i politici dal governo

Il presidente del consiglio incaricato, Mario Monti, ha dichiarato ieri sera di voler formare un governo composto non solo di tecnici ma anche di politici. A suo giudizio, la grave crisi che il Paese sta attraversando richiederebbe uno sforzo comune d’intenti che coinvolga le forze politiche decise ad imboccare un sentiero costruttivo per la crescita economica dell’Italia.

Non condivido questa scelta e temo che Monti, se riuscisse a fare entrare i politici nel governo, compirebbe un passo falso clamoroso. Un governo aperto ad esponenti della politica finirebbe con lo screditare  l’Italia agli occhi degli investitori internazionali,  senza contare la scarsa credibilità di fronte a un’opinione pubblica ostile ai professionisti della politica. Non va inoltre dimenticato che i gravi problemi dell’Italia in campo finanziario sono stati prodotti dal malgoverno partitocratico che inquina le istituzioni da almeno quarant’anni. Se i partiti di centrodestra e di centrosinistra avessero fatto negli anni passati  le riforme economiche e istituzionali che servono al Paese, oggi non saremmo costretti a recitare la parte di sorvegliati speciali nei consessi internazionali.

E’ quindi decisivo che il governo sia composto esclusivamente di “tecnici” che godano del più ampio prestigio in Italia e all’estero. Ovviamente, come in tutti i regimi parlamentari che funzionano, l’esecutivo Monti si sottoporrà alla fiducia delle Camere: in quella sede i partiti faranno le scelte che crederanno più opportune, assumendosi la responsabilità di appoggiare o far cadere il governo.

Vedremo nelle prossime ore quale sarà la composizione dell’esecutivo. Ha ragione Monti quando afferma di voler formare un governo che sia in grado di durare per tutta la legislatura realizzando incisive riforme istituzionali ed economiche. Non riesco a capire tuttavia come possa  farlo se rinuncia a quel profilo eminentemente tecnico – quindi ‘super partes’ – che solo può guadagnare alla sua squadra la fiducia dei mercati e, quel che più conta, il sostegno degli italiani chiamati a fare sacrifici.

Le amare ricette di Monti per ridare un futuro agli italiani

Mario Monti sembra l’uomo giusto per salvare l’Italia dalla crisi. L’economista lombardo gode di un notevole prestigio in Italia e all’estero. Le sue prese di posizione sono sempre state equilibrate e responsabili. L’uomo ha le competenze e la credibilità per fare le riforme che consentano al paese di tornare a crescere.

Non sappiamo se Monti riuscirà a formare un governo che abbia la maggioranza parlamentare. Nel gorgo della crisi finanziaria che sta risucchiando l’Italia verso il baratro l’economista bocconiano sembra essere l’unica persona in grado di far fronte alla tempesta dei mercati traghettando l’Italia fuori dalla crisi.

Ieri, intervenendo a margine di un convegno a Berlino, Monti ha affermato che servono all’Italia riforme strutturali dirette a rimuovere gli ostacoli che frenano e inceppano la crescita dell’economia. Un lavoro immane per qualunque governo sia chiamato a guidare il Paese nelle prossime settimane.

Condivido tali riflessioni, anche se le riforme richiederanno senza dubbio sacrifici e risulteranno in larga parte impopolari. Credo tuttavia che i paesi migliori siano quelli che non temono di mettersi in discussione, di reinventarsi per vivere da protagonisti in un mondo, come quello attuale, dominato dalla velocità impressionante del progresso tecnologico e dalla fittissima rete di relazioni economiche e culturali tra i diversi paesi. Non possiamo più permetterci di perdere tempo.

Il direttore del “Giornale Italiano” Vincenzo Cuoco, recensendo nel gennaio del 1804 la Discussione economica sul Dipartimento d’Olona dell’economista Melchiorre Gioia, scrisse una riflessione che mi sembra di straordinaria attualità nella difficile congiuntura che stiamo vivendo:

“Il male che si soffre è l’effetto delle inevitabili vicende che affliggono tutti gli uomini e tutte le nazioni. Ma il peggiore dei mali, dopo tali vicende, è quello di non volerne soffrire il rimedio. Il maggior numero dei popoli è perito miseramente non per i mali che avea sofferti, ma per l’aborrimento a quelli rimedj che l’avrebbero incomodati per un momento, ma li avrebbero sicuramente guarito“.

[Il passo è tratto da VINCENZO CUOCO, Pagine giornalistiche, Roma-Bari, Laterza 2011, pp.38-39].