Milano negli anni Cinquanta, in una forbice temporale che va dal 1952 al 1958: Paolo Colombo ci trasporta nell’atmosfera di quegli anni, quando la città usciva faticosamente dalle macerie della Seconda Guerra Mondiale e si avviava verso un futuro di ricchezza e benessere. È la storia di una generazione che aveva trascorso l’adolescenza nella dittatura fascista e gli anni della giovinezza li aveva passati a lavorare duramente per costruirsi una vita migliore.

Il libro (PAOLO COLOMBO, Un sogno così, Milano, Feltrinelli 2024, 348p.) racconta la storia dei genitori dell’autore che, sposati nel 1954, si stabiliscono in un modesto bilocale in via dei Gelsomini, nel quartiere del Giambellino, una periferia in cui i primi palazzi furono costruiti già in epoca fascista: come Colombo mostra nel libro, proprio negli anni del dopoguerra il Comune di Milano andò accrescendo quello spazio urbano con nuove abitazioni e giardini pubblici.
I due sposini, Carlo e Liliana, vanno ad abitare là. Lui apre un negozio di ferramenta nel quartiere, dopo aver finito nel 1952 il servizio di leva presso il Quartier Generale del terzo Comando Militare Territoriale (COMILITER) in collegamento con il comando americano (ancora presente in Italia nonostante fossero passati sei anni dalla fine della guerra). Liliana, orfana di entrambi i genitori, cresciuta in un collegio di suore in Liguria, diplomata in pianoforte al conservatorio di Parma, conosce Carlo all’interno del gruppo di amici che si dedicano alle escursioni in montagna organizzate dal CAI: moglie sensibile, alle volte testarda, si rivela una madre premurosa nelle cure del piccolo Marco, il primo figlio nato nel 1955.
Il libro è scritto seguendo il metodo narrativo dell’History Telling, una modalità di comunicazione, una tecnica di trasmissione del sapere storico cui Colombo si dedica da anni nell’insegnamento universitario; uno stile di grande efficacia, lo stesso con cui sono impostati i suoi lavori di successo messi in scena nei teatri e preparati da Storia e Narrazione, il format da lui diretto con Chiara Continisio. Occorre inoltre sottolineare che History Telling è il nome di una fortunata serie di podcast storici curati dall’autore, che si vanno ad aggiungere ad altre produzioni dello stesso genere da lui sviluppate e pubblicate per “Chora Media” e “Il Sole 24 Ore”.
In questo volume la storia dei genitori di Paolo Colombo si incrocia con la storia della città e con quella più generale dell’Italia degli anni Cinquanta: un periodo attraversato da profondi cambiamenti in campo economico e sociale. Solo per citarne alcuni, l’avvento della televisione con le trasmissioni Rai, il boom economico e il successo di vendite di una utilitaria FIAT come la 600, la costruzione dell’autostrada del Sole.
La storia della Milano anni Cinquanta viene raccontata con uno stile diretto, coinvolgente, con una prosa che si legge con piacere, caratterizzata da un periodare e da un lessico di immediata comprensione. I dialoghi tra i personaggi e le riflessioni dell’autore sono molto vicini nello stile a una sceneggiatura teatrale. Nel leggere il libro è come se si assistesse a una delle coinvolgenti lezioni di storia tenute da Colombo a teatro con il già citato format Storia e Narrazione. Ho letto questo libro con passione e partecipazione dall’inizio alla fine.
Colombo riesce da par suo a condurre per mano il lettore nell’atmosfera di quegli anni, raccontando mediante i dialoghi dei suoi personaggi fatti di cronaca allora seguitissimi: ad esempio la discussa relazione tra Fausto Coppi e la Dama Bianca o la rapina in via Osoppo avvenuta il 27 febbraio 1958; in politica, Carlo non apprezza la “legge truffa” del 1953 e vota alle elezioni di quell’anno per il piccolo partito di Piero Calamandrei, piccolo granellino di sabbia che bastò a bloccare il meccanismo poco democratico di quella legge. Liliana discute con un’amica i provvedimenti del governo per introdurre la scala mobile a tutela del potere di acquisto dei salari dei lavoratori. Nel cinema, le riflessioni dell’autore sono per film come “Il dittatore ” e “Luci della ribalta” di Charlot, “Il Cigno” con Grace Kelly. Colombo racconta inoltre la prima proiezione del “Don Camillo” nel 1952, film che il padre vide al cinema Arlecchino – allora appena aperto – pagando 200 lire di biglietto.
Oltre alla storia di una famiglia nella Milano degli anni Cinquanta, il libro è basato su un racconto che mostra i cambiamenti avvenuti in città negli anni del Dopoguerra: per fare degli esempi, la riapertura del Teatro alla Scala nel 1946, la costruzione della Torre Velasca e della linea 1 della metropolitana, l’apertura del primo supermercato Esselunga nel 1957.
Carlo e Liliana vivono le difficoltà del loro tempo con dignità. Amano la montagna, sono giovani e come tali capaci di sognare lavorando con costanza e umiltà nella realizzazione del loro progetto di vita. Un’impresa difficile, quella di amarsi in una città che stava uscendo faticosamente dalla povertà. Da esperti di montagna quali sono, raccolgono la sfida senza mai perdere la determinazione nel voler costruire una famiglia fondata sui valori in cui credono: la probità, l’onestà, la bontà, il senso della misura, la cura del bene comune, l’attenzione per l’altro, la fiducia nell’avvenire. Un cammino, quello che intendono intraprendere, irto di insidie ma non impossibile. Toccante – qui come in tanti altri passi del libro – il racconto di Paolo Colombo. La decisione di sposarsi di Carlo e Liliana viene paragonata alla scalata del K2, impresa che proprio allora era stata portata a termine dal gruppo guidato da Ardito Desio, composto da Walter Bonatti, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni. É Carlo a ricorrere alla similitudine della montagna.
Doveva aver riprovato quella sensazione, Bonatti, ai piedi dell’imponente K2. Un misto di attrattiva e repulsa, di entusiasmo e timore davanti alla sola idea di affrontarne la scalata.
Così si sentiva lui, il povero Carluccio, ragioniere e ferramenta, quando lo assaliva la vertigine per la vita che aveva di fronte, piena di richiami e imprevedibilità. Come si è già detto, non era un letterato, Carlo…ma immaginava la propria vita a venire. Pensare di sposarsi, e metter su famiglia, in un paese povero, martoriato dalla guerra appena conclusa, ancora gonfio di dolore e incertezza. Sposarsi. La scelta più fragile che gli esseri umani si imponevano come risolutiva: non era così stupido da non capirlo. Lo insegnavano Coppi e la Dama Bianca.
Eppure.
Era come pensare di andare in vetta al K2. Potevi farcela. Per questo gli era venuta fuori quella frase, quel 12 settembre, al Parco Sempione. Dai, sposiamoci. Non facciamo caso a quanto è verticale quella parete. Lascia perdere tutti quelli che ci hanno già provato e hanno fallito. Andiamoci, in cima. Sputeremo sangue, ma come fai a non sentire l’attrazione. Come fai a non lasciarti andare alla vertigine. Potrebbe essere bellissimo. [pag.119]
La famiglia Colombo, grazie all’ottima gestione del negozio di ferramenta portata avanti dall’intraprendenza e dalla tenacia di Carlo, restò unita, migliorò le sue condizioni economiche con spirito di sacrificio, determinata a perseguire i traguardi che si era posta, partecipando a quel veloce processo di arricchimento che interessò la Milano di fine anni Cinquanta.